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Focus sul lavoro. Giovani precari, ma i numeri pre Covid promuovono le Marche. "Gli stipendi però restano bassi"

10 Dicembre 2020

di Francesca Pasquali

FERMO - Meno precariato e buste paga più pesanti. È una fotografia per una volta rincuorante quella scattata dall’Ires Cgil, che ha messo a confronto il mondo del lavoro nelle Marche tra il 2019, il 2018 e il 2009, quando si sono cominciati a sentire gli effetti della crisi.

Una fotografia, in realtà, già vecchia. Che non tiene conto del terribile 2020. Il report si concentra sul lavoro dipendente privato, escluso il settore agricolo. L’anno scorso i lavoratori dipendenti nelle Marche erano 432.718, 4mila in più rispetto al 2018 (+0,8%) e 10mila in più del 2009 (+2,3), «ma meno del 2008». Calano i lavoratori precari (-12mila, -10,9%), aumentano gli stagionali (+2mila, +16,6%) e i contratti a tempo indeterminato (+14mila, +4,5%).

Dati incoraggianti che, se letti sul lungo periodo, però, dicono altro. In dieci anni, i part time sono quasi raddoppiati (34,2%), praticamente uno su tre. Gli stagionali sono triplicati. I contratti a tempo indeterminato sono il 51,5%, 43mila in meno.

 «La tipologia di lavoratore che dovrebbe essere standard è quella che più è andata scomparendo negli ultimi dieci anni», denuncia la Cgil. Si conferma difficile il rapporto tra giovani marchigiani e mercato del lavoro. Solo un under 30 su tre ha un contratto a tempo pieno e indeterminato (-28mila in dieci anni, 34,6%). In tutto sono 86mila (-16mila in dieci anni). Mentre c'è stata un'impennata dei part time (+10mila in dieci anni, il 42,2% del totale).

Nelle Marche, le lavoratrici dipendenti private l'anno scorso erano 191mila (44,1%), ma solo una su tre aveva un contratto a tempo pieno e indeterminato. Divisi per province, i dati dicono che è quella di Ancona, in dieci anni, ad aver perso più posti di lavoro. Nel 2019 i dipendenti privati erano 140.531 (stesso dato del 2018, -1,6% rispetto al 2009). Meglio le altre.

Ascoli e Fermo, insieme, l'anno scorso avevano 99.225 dipendenti privati, (+0,2 rispetto al 2018, +4% rispetto al 2009), Macerata 85.659 (+2,2 sul 2018, +3,9 sul 2009) e Pesaro e Urbino 107.303, (+1,5 sul 2018, +4,6 sul 2009). Quanto ai comparti, in leggera ripresa il settore manifatturiero (+0,4%), ma con un distinguo. Se, in un anno, la meccanica è cresciuta del 2.2%, abbigliamento e calzature sono scesi del 2,9%. In ripresa anche l’edilizia, risollevata dalla ricostruzione post-sisma (+3,4%) e i servizi (+0,8%). Ricettività e ristorazione crescono del 3,4%, informatica e servizi alle imprese calano dell’1,7%.

A livello occupazionale, il confronto con il 2009 è, però, impietoso. Ventimila i lavoratori dipendenti privati persi in dieci anni (-11,4%). A pagare lo scotto maggiore è stato il manifatturiero. Abbigliamento e calzature hanno perso -14mila posti (-29,7%), la meccanica 4mila (-5,5%), il mobile 1.000 (-5,3%). Male anche l’edilizia, con 10mila lavoratori in meno (-31,9%). Si salvano solo i servizi (+38mila lavoratori, +18,3%).

«I dati – spiega Giuseppe Santarelli, della Cgil Marche – mettono in risalto la tendenza all’impoverimento del lavoro, soprattutto per alcune fasce di lavoratori, in particolare giovani e donne». «È un tema importante perché incrocia quello dello sviluppo delle Marche, visto che la qualità del lavoro è il termometro che misura la salute di una regione».

La retribuzione è l’altro indicatore preso in esame dall’Ires. Nel 2019, un dipendente privato ha ricevuto in media 19.517 euro lordi (+329 rispetto al 2018). 10.950 euro lo stipendio medio di un lavoratore part time, 27.758 quello di un lavoratore a tempo pieno e indeterminato. Più leggere le buste paga degli under 30 (11.410 euro, -8mila euro rispetto alla media) e delle donne (15.526, -7mila euro in confronto agli uomini). Nel complesso, le Marche, per retribuzione, si posizionano al decimo posto in Italia, con i dipendenti privati che percepiscono in media 1.736 euro in meno rispetto a quelli delle altre regioni del centro e -2.447 euro in meno rispetto alla media nazionale.

«Il fatto di avere un lavoro – il commento della segretaria regionale Cgil, Daniela Barbaresi – non basta a garantire una vita libera e dignitosa. In questi anni la sfida della competitività è stata scaricata sul costo e sulla qualità del lavoro. Precariato e tanto part time involontario hanno portato a un impoverimento dei salari che, pur con un lieve incremento nel 2019, ci fa stare sotto media nazionale».

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