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Cappelli e berretti, il distretto soffre la pandemia: export in calo, le aziende chiudono. Bene il Giappone

21 Marzo 2021

MONTAPPONE – Su 2100 addetti in Italia, ben 1550 si trovano tra i cinque comuni fermani noti come il distretto del cappello.

Un settore che nel 2020 ha subito, come tutti, la pandemia. Anche perché, più stai in casa e meno cappelli usi. “Registriamo – spiega Paolo Marzialetti, presidente nazionale settore cappello e vicepresidente federazione italiana TessiliVari – un calo sia del numero delle imprese, sia degli addetti e sia del fatturato”.

Nel dettaglio: il numero totale delle imprese italiane scendono a 130, con un calo del -5,1%, quello degli addetti a 2.120 registrando un calo del -6%, nonostante il blocco dei licenziamenti. Ma il dato più negativo è quello del fatturato, sceso del 23% e oggi a 124 milioni di euro.

Non va mai dimenticato che il 70% del valore in termini di aziende, addetti e fatturato, è posizionato tra Montappone, Massa Fermana, Monte Vidon Corrado e Falerone, oltre al lato maceratese di Mogliano, Loro Piceno, Sant'Angelo in Pontano. “Ma – riprende Marzialetti - il core-business sono Montappone e Massa Fermana, dove risiedono oltre l'80% delle aziende del distretto e il 50% di quelle italiane”.

Un tempo famoso per i cappelli di paglia, mercato crollato con un -35%, il distretto si è pian piano diversificato, diventando un riferimento per le diverse tipologie di prodotto, berretti in primis. “Chiaro che il dato del cappello di paglia sia stato segnato dai vari lockdown, visto che l’estate è stata vissuta in ritardo e con tante incertezze” ribadisce. Per i berretti la diminuzione dell’export è del 10%.

Quello del cappello è un settore che vive di import, tanto che la Cina è il paese dominante con i suoi 43milioni di euro di peso sul mercato, in calo del 29,9%. A riprova di quanto conti la vaccinazione per la ripresa dell’economia, i due Paesi che perdono meno sono Gran Bretagna e Stati Uniti, dove il piano vaccinale corre, rispettivamente -6 e -3,7%. Soffre il mondo del lusso e infatti la Svizzera, hub delle griffe, perde il 16,6% pur restando il primo mercato con 42milioni di euro di fatturato garantito.

Sul podio, come nelle precedenti stagioni pre-Covid, i mercati tradizionali europei come la Germania (23,6 milioni di euro, -12,5%) e la Francia (22,4 milioni di euro, -14,3%). Il modo inglese vale 20 milioni, seguito dai 14,4 dell’America, i 7 della Spagna e a seguire Paesi Bassi, Russia, stabile coni suoi 5milioni, Polonia e, primo segno positivo, il Giappone con 4,9milioni di fatturato.

Il 2020 del distretto si chiude così con 80milioni di fatturato e 90 aziende ancora attive. “L’ultimo trimestre dell’anno – conclude Marzialetti – ha mostrato dinamiche meno negative.  Il calo da inizio anno resta considerevole, in tutte le variabili e i dati a consuntivo mostrano che anche il nostro comparto è stato messo a dura prova dall’emergenza sanitaria, malgrado i primi timidi segnali di rientro alla “normalità” nella domanda a livello internazionale nell'ultimo trimestre, soprattutto nei paesi dove vi erano i presupposti per l’inizio di una campagna di vaccinazione massiva”.

Quello che sta funzionando è la vendita online dei principali brand della moda a livello globale, “che trainano tutti i comparti produttivi, ma che non risolvono in ogni caso un 2020 nero per gli acquisti in Italia, considerato anche il crollo dei flussi turistici dall’estero e dei mancati introiti da essi derivanti, anche e soprattutto per il segmento del Lusso”.

r.vit.

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