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Vaccini obbligatori? Lo Stato decide, niente pascoli d'immunità regionali

19 Aprile 2020

“Firmata l’ordinanza dal Presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, per rendere obbligatoria la vaccinazione antinfluenzale e antipneumococcica per tutti i cittadini over 65 anni e tutto il personale sanitario. L’obbligo sarà a decorrere dal 15 settembre 2020”. Così il 17 aprile recita il sito della Regione Lazio all’interno della sezione Coronavirus.

Si legge inoltre che la mancata vaccinazione comporterà per il personale sanitario l’inidoneità temporanea allo svolgimento della mansione lavorativa e per gli ultra 65enni l’impossibilità di accedere a centri anziani o altri luoghi di aggregazione che non consentano di garantire il distanziamento sociale.

La finalità dichiarata è di “tutela della salute pubblica” perché “ogni anno sono numerosi i decessi per complicanze soprattutto nelle persone più fragili e croniche” e perché si vogliono “ridurre i fattori confondenti per il COVID-19 in presenza di sintomi analoghi”.

Immagino che nei prossimi giorni si daranno battaglia vax e no vax in un confronto che però non mi appassiona, ritenendo che della salute pubblica debba occuparsi la scienza medica, non la politica. Ma da giurista mi chiedo quale sia il senso di un obbligo di vaccinazione regionale.

Per comprendere la questione, facciamo un passo indietro e torniamo al governo Gentiloni, quando con il decreto legge 7 giugno 2017, n. 73 - convertito con modificazioni in legge 31 luglio 2017, n. 119 -, si introdussero 10 (inizialmente 12) vaccinazioni obbligatorie per i minori fino a sedici anni di età, prevedendo sanzioni amministrative pecuniarie e il divieto di accesso ai servizi educativi per l’infanzia.

La regione Veneto, Presidente Zaia, insorse sollevando questioni di legittimità, che vennero disattese dalla Corte Costituzionale con sentenza 18 gennaio 2018, n. 5.

E cosa disse il Giudice delle Leggi? “Il diritto della persona di essere curata efficacemente, secondo i canoni della scienza e dell’arte medica, e di essere rispettata nella propria integrità fisica e psichica, deve essere garantito in condizione di eguaglianza in tutto il Paese, attraverso una legislazione generale dello Stato basata sugli indirizzi condivisi dalla comunità scientifica nazionale e internazionale.

Deve essere riservato allo Stato il compito di qualificare come obbligatorio un determinato trattamento sanitario, sulla base dei dati e delle conoscenze medico-scientifiche disponibili.

La profilassi per la prevenzione della diffusione delle malattie infettive richiede necessariamente l’adozione di misure omogenee su tutto il territorio nazionale”. Di qui le ragioni dell’incostituzionalità - ex art.117 co.3 Cost. - dell’obbligo vaccinale sancito da Zingaretti.

Del resto una profilassi preventiva contro le malattie infettive, che abbia finalità di tutela della salute pubblica, è frustrata sul nascere se ridotta ai confini regionali, a meno che non si voglia ritenere che in tempi di immunità di gregge possa avere senso un pascolo laziale.

Avv. Andrea Agostini

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