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La lunga marcia di Brusamento, da nord a sud, per sensibilizzare sulla sclerosi tuberosa

28 Aprile 2021

di Francesca Pasquali
PORTO SAN GIORGIO - Sessantanove anni (sessantasette quando è partito). 8.500 chilometri percorsi a piedi. 650 Comuni visitati. Sette paia di scarpe consumate. Ha fatto tappa a Porto San Giorgio la lunga marcia di Elio Brusamento per sensibilizzare sulla sclerosi tuberosa.

Un viaggio partito da Trieste il 25 aprile di due anni fa e che si concluderà a giugno a Udine, sua città d’origine. Un viaggio che è diventato «di speranza», nato per conoscere i borghi italiani e che, nel mentre, s’è arricchito di un valore aggiunto. «Ho saputo che il figlio di un mio amico era affetto da questa malattia. Mi sono documentato e ho capito che avrei potuto dare un senso diverso al mio viaggio», ha raccontato questa mattina, accolto dagli assessori Francesco Gramegna ed Elisabetta Baldassarri. Ad ascoltarlo, anche Giuliano Cannella, “Scià”, degli scout sangiorgesi, che ha fatto da tramite.

Prima di partire, Brusamento, che è testimonial dell’Associazione nazionale sclerosi tuberosa, ha venduto tutto quello che aveva. I vestiti li ha donati alla Caritas. Un taglio netto col passato e un futuro da costruire, appena smetterà di camminare. Diverso e cambiato. Perché nel suo lungo viaggio zaino in spalla ha incontrato circa settemila persone. Alle quali ha parlato di questa malattia rara che colpisce i bambini, che è genetica, debilitante e li porta a morire prima del tempo.

«Una malattia che crea grandi difficoltà alle famiglie, con problemi da affrontare ogni giorno», ha spiegato. Ha raccontato della donna di San Benedetto con due figli malati. «Ho ammirato la sua decisione di portare avanti la seconda gravidanza, quando ha saputo che anche il secondo figlio era malato», ha detto.

Loreto e Osimo le prossime tappe del suo viaggio, quasi tutto accompagnato dal Covid. «Per sicurezza, ho mangiato e dormito sempre da solo. In Calabria sono rimasto bloccato quaranta giorni. Quaranta notti passate in tenda, con solo acqua fredda per lavarmi. Ma noi Alpini siano abituati», ha aggiunto. Un viaggio per accendere un faro su questa malattia «che nessuno, nei 650 Comuni in cui mi sono fermato, conosceva». Un viaggio che diventerà un libro, “Terra di confine”, «perché spero che, un domani, la ricerca riesca a rompere i confini e non ci siano più queste malattie».

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