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Coronavirus, canone di affitto alto? Serve la scaletta

5 Aprile 2020

Misure di contenimento, distanziamento sociale, ritrosia nel tornare in luoghi pubblici, contrazione dei consumi per timore del futuro tra crisi occupazionale e recessione economica del Paese, costringono sin da ora a guardare il futuro con occhi nuovi.

Prendiamo ad esempio un negoziante di abbigliamento. Persa la stagione primaverile, la vendita dell’estivo consentirà di arrivare all’autunno / inverno?

Facile immaginare una crisi di liquidità che possa determinare la prossima chiusura dell’esercizio commerciale. Ciò può prevenirsi solo con una rimodulazione delle spese di gestione e tra queste il canone di locazione.

Purtroppo però il Coronavirus non consente l’autosospensione o l’autoriduzione del canone da parte del conduttore (artt.1256, 1458, 1463, 1464, 167 c.c.).

Due le conferme indirette che vengono fornite dal Governo con il DL 17/03/2020, n. 18, cosiddetto Cura Italia:

  1. la prima è data dall’art. 65 commi 1 e 2 che, “per frenare gli effetti negativi derivanti dalle misure di prevenzione e contenimento connesse all'emergenza epidemiologica da Covid-19, ai soggetti esercenti attività d'impresa” riconosce “per l'anno 2020, un credito d'imposta nella misura del 60 per cento dell'ammontare del canone di locazione, relativo al mese di marzo 2020, di immobili rientranti nella categoria catastale C/1”, quali negozi e botteghe destinati a ristorazione, bar, barbiere;
  2. la seconda è data dall’art. 91 co.1 che, in fatto di “ritardi o inadempimenti contrattuali”, ha introdotto nel DL 23 febbraio 2020, n. 6, il comma 6 bis per il quale il rispetto delle misure di contenimento “è sempre valutato ai fini dell'esclusione della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.

Insomma per il Governo a dispetto dell’emergenza sanitaria il canone va pagato.

E’ però evidente a chiunque che il coronavirus incide sull’equilibrio economico dei contratti di locazione commerciale in essere. Ecco allora che già nel breve periodo il pagamento del canone potrebbe divenire un’obbligazione eccessivamente onerosa da adempiere per il conduttore.

Bene allora per il conduttore avviare un ragionamento di prossima risoluzione del contratto o di recesso (art.27 commi 7,8 L.n.392/78), così da indurre il locatore ad offrire di ridurre ad equità il rapporto, magari anche solo limitatamente ad un determinato arco temporale.

Concordare di soprassedere dal pagamento del canone oppure di ridurne l’ammontare del 50% potrebbero essere soluzioni ragionevoli dettate dal buon senso.

Ma vi è anche una soluzione ulteriore, a mio avviso assolutamente apprezzabile, pure che poco praticata, se non dalle attività interne a centri commerciali.

Si tratta di introdurre nel contratto di locazione una clausola di determinazione del canone a scaletta.

Si tratta di un canone in parte fisso e pagato nell’anno di competenza, in parte variabile e pagato a saldo l’anno successivo su una percentuale del fatturato annuo (o sul valore della produzione o sul margine operativo), all’esito di una verifica concorde del bilancio di esercizio (o di una dichiarazione fiscale es. Iva o del registro dei corrispettivi) del conduttore.

Ragioni di solidarietà economica (art.2 Cost.), di correttezza e buona fede nell’esecuzione dei contratti (art.1375 c.c.), impongono in tempi di coronavirus di ricalibrare le rispettive pretese contestualizzandole per condividerne il danno.

Auspico il legislatore intervenga al più presto imponendo una calmierazione del mercato delle locazioni commerciali dettando precisi parametri di riduzione dei canoni e incentivando con sgravi fiscali eventuali accordi bonari delle parti.

Un tale intervento sarebbe l’ideale, ma che nessuno rimanga affacciato alla finestra a guardare.

Tirar giù una serranda impoverisce tutti, tanto vale condividere il danno, rimboccarci le maniche e contribuire insieme a costruirci un nuovo futuro.

Avv. Andrea Agostini

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