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Villa Vitali conquistata da Rubini: "Abbiamo bisogno del superfluo, attori e pubblico devono stare insieme"

11 Luglio 2021

FERMO - Leggerezza. Sergio Rubini, sale sul palco dell’arena di Villa Vitali, e lo dice subito: i contenuti dello spettacolo ‘Ristrutturazioni’ proposto in prima nazionale, fanno volutamente da contraltare alla pesantezza del periodo del lockdown e ruotano intorno alla parola più ricorrente nell’ultimo anno: casa, appunto.

La serata scorre piacevolmente, tra una battuta ironica e scherzosa, momenti di riflessione e di stupore, racconti spassosi, ai limiti del surreale, di disavventure vissute con le ’sue’ case, su affitti, acquisti, ristrutturazioni, di quello che, per tutti, è il proprio ’nido’.

D’altra parte, siamo stati costretti a restare chiusi in casa a lungo, per cui l’abbiamo vissuta, ne abbiamo preso coscienza. C’è chi ha scoperto di avere una casa troppo piccola, o troppo scomoda, o poco funzionale, o troppo grande perché se non si può invitare nessuno, a che serve tutto quello spazio?

Da qui, Rubini parte con un elogio agli architetti di ieri e di oggi, al valore umano e sociale delle loro opere, a costruzioni di ogni tempo impregnate di significati che restano immutati nei secoli.

Fanno da intermezzo, musiche e canzoni del gruppo che si è chiamato ‘Musica di ripostiglio’, “perché musica da Camera sembrava troppo pretenzioso”, con Rubini che millanta scherzosamente di saper suonare la chitarra.

Sul finale, spulciando il trattato ‘De Architettura’ di Vitruvio (considerato il più famoso teorico dell’architettura di tutti i tempi, attivo nella seconda metà del I secolo a.C.) richiama un passaggio di impressionante attualità: “I latini avevano un’idea chiara del principio che doveva regolamentare il rapporto tra la committenza e chi fa i lavori, il preventivo e i tempi di consegna. Ad Efeso vigeva una legge secondo la quale, quando un architetto si assumeva la committenza di un’opera pubblica, fissava un preventivo di spesa e lo presentava a un magistrato perché fosse approvato, e i beni dell’architetto venivano ipotecati fino a che non fosse terminato il lavoro.

Completata l’opera, se la spesa rispettava il preventivo, l’architetto riceveva pubblici onori e riconoscimenti; se il lo superava di non oltre un quarto, si copriva il disavanzo con un fondo pubblico, senza penalizzazioni per l’architetto. Ma se il costo finale superava anche quel limite, la differenza veniva prelevata dai beni dell’architetto. Magari vigesse questa legge anche a Roma, scrive Vitruvio. Non ci vedremmo costretti a continue, inaspettate ed esorbitanti spese, al punto da rimetterci il patrimonio. E gli architetti, per timore di venire penalizzati, sarebbero più oculati nelle spese, di modo che il cittadino potrebbe vedere ultimato il lavoro nel rispetto del prezzo convenuto. Questa è la saggezza degli antichi”. Il messaggio arriva forte e chiaro al pubblico che, convinto, applaude.

L’ultimo messaggio, Rubini lo riserva al suo mondo, quello degli artisti: "Hanno detto che noi artisti siamo non necessari. Che anche voi, pubblico, siete non necessari. Ma proprio nel non necessario l’uomo esprime la sua umanità. Pensate la vita cosa sarebbe se facessimo solo le cose necessarie. Abbiamo bisogno del non necessario, del superfluo perché è lì che diventiamo esseri umani”.

redazione@laprovinciadifermo.com

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