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Upcycling e inventiva, dallo sfasciacarrozze all'orlatrice: Alice racconta ExSeat, la borsa che non c’era

16 Aprile 2021

di Raffaele Vitali

MONTE URANO – Entrare nel mondo di Alice Cococcioni significa immergersi in un laboratorio in cui si intrecciano i resti di sfasciacarrozze, disegni dei designer, macchine da cucire delle orlatrici, stoffe e pelli sintetiche della moda. Un mondo a due passi dallo stadio di Monte Urano da cui, alla fine, escono borse uniche nel loro genere, diverse una dall’altra, marchiate ExSeat.

Alice Cococcioni, come si diventa imprenditrice?

“Fin da bambina ho respirato l’odore dell’azienda. Prima che arrivassi io, negli anni ’70, l’attività di famiglia è partita con il tomaificio, con il taglio e orlatura per conto terzi. Ed è durato fino a inizio anni 2000, c’erano una ventina di dipendenti. La crisi del settore ha portato a diversificare l’azienda dopo la cessazione dell’attività. Mia madre Giovanna e mio padre Fabrizio hanno ripreso continuando con l’orlatura per conto terzi. Mio padre, però, non facendo più il tagliatore doveva reinventarsi e ha sviluppato il progetto dei tappeti per auto personalizzati. A 43 anni si è reinventato con un’attività che tutt’ora prosegue”.

E la ‘piccola’ Alice che faceva?

“Ho iniziato anche io come orlatrice, visto che fin dalle medie mi muovevo dentro l’azienda. Poi, però, tutto è cambiato”.

Cosa le ha permesso di evolvere?

“Dopo la laurea in Lingue e culture per l’impresa a Urbino, la strada diretta puntava verso le aziende del territorio. E così, esperienza in due aziende seguendo aspetto commerciale e prototipia. Lì ho cominciato a capire che le logiche erano spesso superate: collezioni che per metà erano già da buttare, vivevo in un mondo di sprechi. E così mi sono licenziata, la voglia di tornare nell’azienda di famiglia, con nuove idee e capacità, ha vinto”.

Non ha pensato di produrre tappeti?

“Il business paterno non lo sentivo mio e così il lavoro del conto terzi. Ho subito pensato alle borse, una lavorazione che posso fare completamente all’interno, diversamente dalle scarpe”.

Quale la novità?

“Uso materiali di recupero, per contrastare quel mondo di spreco che avevo vissuto guardando le giacenze e i magazzini pieni di materiali che si rovinavano. Nel 2018 sono così rientrata in azienda, il 2019 la prototipia. Eravamo pronti, poi è arrivato il Covid e nel 2020 abbiamo solo puntato su un po’ di promozione digital. Il mondo social funziona, ma serve una presenza, quantomeno fino a che il brand non è definito e ha una dignità”.

Parliamo delle borse, quali i punti chiave?

“Tappezzerie di auto e cinture di sicurezza sono le due parti basilari. Poi c’è il blocco del tessile e dei sintetici. Non usiamo la pelle vera, visto che il recupero e la sanificazione includono il lavaggio con acqua che poi secca la pelle. La mia aggiunta sono i bordi colorati”.

Come recupera i pezzi?

“Il primo passaggio è allo sfasciacarrozze locale. Noi togliamo rinforzi, ferri e vecchie imbottiture. Rimane lo strato del tessuto che va in lavaggio in una lavanderia industriale a Pedaso. Quando ce lo ridanno, inseriamo imbottiture nuove, anche per evitare la complessità di lavorazione. E ricreiamo lo schienale, partendo dal poggiatesta. Quindi restano tessuto e sintetico originali. Completamente nuovo sono i piccoli bordi, le rifiniture e le cinture”.

Cura lei il design?

“Ho scelto di affidarlo a uno studio stilistico di Fermo che fa solo borse. Hanno preso input dal mondo automobilistico, ricerca su interni e cromature delle auto. Così per gli accessori più piccoli. Ho provato a disegnare la prima borsa, poi ho capito che per un lavoro professionale era giusto affidarsi a chi ha le competenze chiare”.

Ma quanto lavoro c’è dietro, per esempio, a uno dei suoi zaini?

“È fatto di 88 pezzi tra rinforzi e fodere. Lavorare le imbottiture è l’aspetto più complesso”.

Ma chi l’ha aiutata a partire?

“Questa è un’azienda familiare, anche la mamma mi aiuta a cucire oltre alla nonna. Dal lato economico ho investito quello che avevo, dal Tfr ai risparmi. Purtroppo quando ho iniziato non c’erano bandi che facevano al caso mio, ma volevo iniziare. Poi è arrivata la Provincia con GenerYaction e ho trovato il primo finanziamento”.  

Quali difficoltà ha affrontato?

“A 34 anni ho imparato a farmi le ossa. Ma ne ho incontrate tante. La prima a livello tecnico: come recuperare e gestire i materiali. Non avevamo una guida, essendo una novità questo tipo di recupero, anche capire come rinforzare i pezzi. E infatti i modelli li ho stravolti passo dopo passo. La seconda a livello di fornitori. Creare una rete esterna, essendo un progetto nuovo e non con grossi numeri, o trovi rifornitori locali o aziende più grandi che alla fine ho scartato perché chiedevano quantità e pagamenti anticipati. E così ho creato una rete nel raggio di 30km”.

Ma con la tappezzeria come fate?

“La tappezzeria non tolta viene schiacciata con la macchina e finisce in discarica. Per gli sfasciacarrozze è un lavoro in più toglierla, però poi dà soddisfazione. All’inizio eravamo noi ad andare a toglierla, quando hanno capito il risultato finale hanno deciso di aiutarci”.

Ci sono auto con sedili migliori?

“A dire il vero no, il materiale è buono in generale. Più che altro è che si trovano molte fiat e magari meno di altre marche. quindi quando lo sfasciacarrozze ha modelli particolari mi chiama subito e vado a vedere”.

Quale è il vostro mercato?

“Per ora tanto social, mancando le fiere di settore. Sto lavorando per creare una community fidelizzata non al prodotto ma ai concetti, dalla sostenibilità all’artigianato, dall’upcycling al lavoro manuale e alla sua dignità. Poi si arriva al prodotto, che è il frutto di un nuovo modo di fare impresa che deve essere capace di coinvolgere un territorio. Una foto dello zaino nel campo di grano sotto casa emoziona chi vive nelle grandi città. a questo abbiniamo dirette Instagram. Per ora non immagino di entrare in un negozio, il ricarico sarebbe eccessivo. Essendo tutti pezzi unici il prezzo non è proprio basso, ma una volta che un cliente ha la borsa in mano resta soddisfatto. Questo almeno ci dicono e scrivono”.

Le persone comprendono il valore?

“La mia nuova sfida è sulla comunicazione: il materiale recuperato non è un materiale povero. Recuperare non significa economico, anzi. Ecco che la narrazione diventa fondamentale”.

@raffaelevitali

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