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Un secolo in un libro: dai Ragazzi del 99 alla politica di Fermo, ecco 'Storia familiare'. Bracalente: "Scritto pensando al nipote neonato"

3 Aprile 2022

di Cristina Donati

FERMO - Rossella Bracalente, autrice di Storia Familiare, si definisce un "architetto dell'anima": amante dei fiori, del mare e della montagna, della fotografia con la quale ha immortalato i suoi numerosi viaggi e non solo, è una creativa del fare, come chi pianta il seme attendendo con pazienza che germogli, proteggendo tutto ciò che è prezioso.

Proprio con questo spirito il suo primo lavoro è restato un segreto per tutti, coltivato riga dopo riga di mattina presto, nell'orario in cui di ascolta il proprio cuore prima che subentri la razionalità del quotidiano. E poi lasciato sedimentare fino al giorno successivo, quando l'ispirazione di nuovo la chiamava con intensità a continuare il suo lavoro.

Per percepire al massimo la sua intenzione, l’abbiamo intervistata nel luogo dove la sua storia ha preso forma: una casa in pieno centro storico, in cui ogni particolare parla di lei, dalle foto alle pareti al tecnigrafo, dagli innumerevoli libri alla sua fedele cagnolina Michelle. Da una terrazza perfetta per ammirare il Duomo e il Conero.

Rossella, di cosa parla Storia Familiare?

“È la storia degli ultimi trecento anni della mia famiglia, raccontata con fotografie, ricordi e ricerche storiche, che ho voluto regalare ad un bambino nato lo scorso tredici febbraio, Edoardo, il mio primo pronipote. È un libro che gli parla in modo semplice e anche divertente, di chi lo accoglie e di chi negli anni, attraverso storie d’amore e progetti per il futuro, ha contribuito alla sua nascita: in pratica, le sue radici.

Nel libro, però, non c’è solo la storia della mia famiglia, ci sono le storie di tanti: dei Ragazzi del 99 della Prima Guerra Mondiale, come mio nonno; dei tanti IMI (Internati Militari Italiani) prigionieri in Germania durante la Seconda Guerra Mondiale, come mio padre; c’è uno spaccato di storia della vita rurale del Fermano; ci sono pezzi di storia politica di Fermo, e anche quella della vicina regione Umbria, dove mio fratello, Preside della facoltà di Economia di Perugia negli anni 90 del secolo scorso, è stato eletto Presidente della Regione, chiamato per ridare dignità alla politica corrotta di Tangentopoli”.

Come nasce l’idea?

“L’idea di scrivere la storia della mia famiglia è nata tanti anni fa, ma lasciata nel cassetto insieme ai ricordi che negli anni si sono accumulati. Finché a luglio mio nipote Federico, primo figlio di mio fratello Bruno, ha annunciato che presto sarebbe diventato padre e proprio per quel bambino in arrivo ho iniziato a scrivere.

Da subito ho pensato che il regalo che gli avrei fatto non sarebbe stato un vestitino, né un passeggino, ma un pezzetto di storia da tenere nel cuore. Il termine che mi sono data per completarlo era quindi la sua nascita, lui cresceva, di ecografia in ecografia, io scrivevo.

Inizialmente il libro era soprattutto un allegro racconto fotografico, come si addice per un bambino; poi, nei nove mesi di gestazione, anche il libro è cresciuto, prendendo sembianze sempre più chiare e definite.

In più, nel 2022 la nascita di Edoardo coincide con il centenario della nascita di mio padre ( 1922 - 2022, morto nel 2009 ), che sarebbe stato il suo bisnonno. Sono felice di averlo scritto anche per mio padre.

Quando si comincia ad invecchiare ci sembra di non aver dato abbastanza ai nostri cari quando erano in vita, distratti dal senso di immortalità proprio della gioventù”.

Lei ha preso parte al corso di scrittura autobiografica Raccontarsi Raccontare?

“Mentre stavo scrivendo il libro, a novembre, ho incontrato l’Università Popolare di Fermo appena costituita; subito sono stata attratta dal corso Raccontarsi e Raccontare; mi è sembrato proprio capitato al momento giusto. "Voglio migliorare la mia scrittura!" così ho risposto alla domanda che Roberto Scanarotti, il docente del corso, ci ha rivolto all’inizio della prima lezione “Perché siete qui?”

Ma non era quello l’obiettivo del corso, l’obiettivo era scrivere i propri ricordi, scrivere un’autobiografia. Così nei mesi di dicembre e gennaio, cinque sono state le lezioni, sempre presente: ho migliorato non la mia scrittura, ma il mio sentire, la percezione della mia vita e di chi ha fatto parte, e fa ancora parte, della mia vita.

Piano piano nel libro ha preso corpo, con coraggio, una parte intima, i miei ricordi e i ricordi di mia madre novantenne. È stato molto emozionante vedere la sua commozione quando, appena ritirato dalla tipografia, le ho portato il libro scritto da me, una sorpresa! Un libro dove per lei le fotografie sono più attraenti delle parole, perché solo la terza elementare era obbligatoria ai suoi tempi e lavorare era più utile di andare a scuola per la sua famiglia. Mentre lo sfogliava tra le lacrime di gioia mi ha detto “Adesso non ho più voglia di lavorare, voglio passare tutti i giorni a spaginarlo”.

Il corso di scrittura autobiografica mi ha fatto capire che scrivere un’autobiografia, nel mio caso è anche una biografia, è molto emozionante per se stessi, ma anche per chi ne fa parte, e per chi la legge; perché dare una parte di sé crea legami, crea simpatie”.

Come si ricostruisce una storia familiare? Come ha proceduto nella documentazione minuziosa della sua?

“Da sempre conservo cose che mi ricordano momenti importanti della mia vita e di chi amo: fotografie, documenti, ritagli di giornale, lettere, biglietti, piccoli oggetti. Per il mio libro sono partita da questo, soprattutto dalle fotografie, che meglio raccontano le persone e i luoghi dove vivono e hanno vissuto. Ho scelto di iniziare la ricostruzione della storia familiare non da “C’era una volta”, ma da “C’è ora”, dall’ultimo nato, il mio pronipote Edoardo, della linea diretta genitori-figlio dell’albero genealogico.

Partire dal presente è più semplice; si può conoscere quello che non sai chiedendo a familiari e parenti che ricordano. Per gli anni più lontani la ricerca storica diventa più complessa: per gli atti fino al 1861 si deve chiedere l’accesso ai registri di nascita, di migrazione e di morte del Comune; mentre per gli atti prima del 1861 bisogna rivolgersi all’archivio della Parrocchia, poiché le Marche, nel mio caso, facevano parte dello Stato Pontificio. Man mano che si va indietro negli anni le fotografie diminuiscono, allora diventa importante il racconto dei ricordi, la scrittura sostituisce o integra le fotografie. La parte più coinvolgente è sicuramente quella raccontata; io e mia madre siamo insieme a raccontare in questo libro; a lei ho tenuto nascosto l’obiettivo delle nostre chiacchierate, finché non le ho portato una copia del libro e l’emozione è esplosa.

I racconti di mia madre hanno portato a ricostruire anche tanti rami laterali di parentela del nostro albero genealogico, che possono essere tracce preziose per scrivere altre storie familiari. Fino a pochi mesi fa pensavo che scrivere un’autobiografia fosse una cosa per ricchi e famosi, che bisognava essere qualcuno… non lo penso più; scrivere un’autobiografia è per chi ha qualcosa da dire, e tutti abbiamo qualcosa da dire; ognuno è qualcuno”.

Ha mantenuto il segreto sul progetto fino alla sua pubblicazione, come mai? E chi sono stati i primi lettori?

“Ricordando le parole della nonna di una mia amica colombiana "I miracoli non si raccontano": ho voluto lavorare sul mio progetto tenendolo al sicuro come un frutto da proteggere, senza parlarne a nessuno. Il corso di scrittura mi è stato utilissimo perché ho preso coscienza di non essere spaventata dalle emozioni, ho raffinato la tecnica del volgere al positivo i racconti, elaborandoli con occhi diversi nella necessità di raccontarli ai miei compagni e ciò è stato determinante anche per togliere il velo dell'autosvalutazione. I miei primi lettori sono stati ovviamente della mia famiglia: mia madre, mio nipote e sua moglie Melissa, genitori di Edoardo che ha ispirato la mia storia, mio fratello. Se la loro commozione mi ha appagato, altrettanto emozionante è stato consegnarlo a Roberto Scanarotti, docente del mio corso ed al presidente dell'Università Popolare Ettore Fedeli”.

Rossella, un'ultima domanda. Pensa di continuare a scrivere e dobbiamo attendere un secondo libro?

“Al momento sono nella fase di decompressione, è stato un lavoro lungo ed ho voglia di godermelo. In genere sono una persona che fa le cose una volta e poi esaurisce la sua vena, coinvolta in nuovi progetti. Quando avrò la mente sgombra valuterò se ci sia qualcos'altro che mi piace raccontare e nel frattempo sgombro i cassetti pieni di tutte le cose che avevo messo da parte e che ora voglio fare nella mia vita che costruisco giorno dopo giorno”.

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