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Negozi in centro storico, allarme Confcommercio. A Fermo perse 25 attività in dieci anni. Polacco: crescono le farmacie, meno giochi e scarpe

1 Marzo 2022

FERMO – Soffrono i centri storici dei capoluoghi di provincia, almeno da un punto di vista commerciale. L'ultima chiusura a Fermo, dopo 50 anni di attività, del negozio di accessori (scarpe, borse e collane) di Fabiana, per mancato ricambio generazionale e gestionale, è l'ultima goccia in un vaso sempre più pieno.

L’Osservatorio sulla demografia d’impresa nelle città italiane (su dati del centro studi Tagliacarne, ndr) analizza l’andamento delle imprese del commercio al dettaglio, inclusi gli ambulanti, ripartito in undici categorie merceologiche, e dei settori degli alberghi e delle attività di ristorazione (2012-2021).

A livello nazionale in nove anni si sono persi 85 mila negozi fisici di cui quasi 4 mila e 500 durante la pandemia. Il primo motivo è la riduzione dei consumi, “che sono sotto i livelli del 1999” spiega Massimiliano Polacco, direttore Confcommercio Marche.

La città che perde di più è Ancona, presa da Polacco come esempio: “260 esercizi di commercio al dettaglio nel centro storico nel 2012 che sono diventati 188 a giugno del 2021. Nelle altre aree della città sono passati da 879 del 2012 a 710 nel 2021. Sono in aumento le attività ricettive, bar e ristoranti nel centro storico che sono passati da 120 nel 2012 a 137 nel 2021 mentre nel resto della città sono leggermente diminuiti passando da 379 a 364. Il dato di questo comparto potrebbe sembrare positivo, o quantomeno in tenuta, ma bisogna considerare la frammentazione che c’è stata e anche la nascita di nuove modalità di fare impresa che sono state inserite in questo settore”.

Numeri che evidenziano la difficoltà del settore, “quindi servirebbero subito risposte frutto di modelli di governance capaci di dare concretezza all’economia reale”. Guardando a Fermo, erano 99 le attività in centro storico nel 2012, sono 74 oggi, cinque in meno rispetto al 2019. E anche lontano dalla piazza non va meglio, si è passati da 310 a 278, ma in questo caso sul 2019 la crescita è di cinque.

Il cambio del commercio è reso evidente dal fatto che a crescere sono le farmacie, da 3 a 5 in centro storico e il settore bar-ristoranti, passati dai 28 del 2012 ai 36 del 2021.In controtendenza Macerata, che nei due anni pandemici ha visto  crescere le attività in centro (da 195 a 199), mentre Ascoli Piceno scende di due.

“A fronte di questi dati – riprende Polacco – servono interventi immediati per evitare la desertificazione commerciale e favorire l’integrazione dei servizi nei centri storici. Abbiamo ottime opportunità attraverso i fondi del Pnrr e le risorse previste dalla nuova Politica di coesione 2021-2027. Dobbiamo collaborare con le istituzioni per sfruttare al meglio queste possibilità”.

Il direttore ci crede che sia possibile salvare i cuori dei capoluoghi. “Dentro le città ci sono tipologie di negozio che crescono, e anche molto, vedi tabacchi e generi alimentari. E poi salute e tecnologia sono poli attrattori dei consumi negli ultimi venti anni e in particolare negli ultimi dieci. Il resto – conclude Polacco - è in discesa, soprattutto i consumi tradizionali: cade il numero di negozi di abbigliamento, calzature, libri, giocattoli, mobili, ferramenta. Questi negozi escono dai centri storici, anzi quasi scompaiono, per trasformarsi nell’offerta delle grandi superfici specializzate fuori dalle città, oppure si riaggregano nei centri commerciali ultra-periferici. Un fenomeno che comporta una minaccia per la vitalità delle nostre città”.

Soluzioni? Di certo abbinare online e negozio. Come? La soluzione di Polacco non è originale: “Unica soluzione per una prospera convivenza dei due canali è la crescita economica, cioè l’incremento della “torta”, cosicché l’inevitabile divisione risulti soddisfacente per tutti”.

@raffaelevitali

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