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Marche terra bio. Il piano regionale di Carloni, i dubbi dei territori: "Non si può unire ciò che è diverso, servono biodistretti"

15 Febbraio 2021

di Francesca Pasquali

FERMO – Il biologico unisce, ma nelle Marche sta rischiando di crere anche una pericolosa frattura. Tra chi c’era, i distretti territoriali, e chi vorrebbe esserci, il distretto unico pensato dall’assessore regionale Mirco Carloni.

DISTRETTO UNICO

“Siamo la regione più biologica d'Italia e questo è un grande orgoglio. Per questo motivo ritengo sia essenziale giocarci questa opportunità tutti insieme, dai piccoli coltivatori ai grandi player in un unico distretto forte e in grado di creare aggregazione e qualificare ulteriormente i nostri prodotti nel mondo”. Carloni non crede nelle piccole realtà. “La Regione ha già stanziato 100 mila euro per la creazione di un distretto unico a dimostrazione di quanto ci creda. L'auspicio e evitare gli errori e le divisioni che hanno caratterizzato altri settori. Il biologico è un brand orizzontale molto forte in grado di tenerci uniti e far crescere insieme il territorio”. Questo il suo piano che prevede però anche “dei distretti dei prodotti locali certificati per creare zone omogenee dove fare formazione, promozione e aggregazione mettendo insieme la filiera dalla produzione, alla vendita e alla somministrazione".

I DUBBI DEI TERRITORI

“La Regione riconosca i biodistretti già costituiti”. L’appello, corale, a non disperdere il lavoro fatto finora, è di Aiab Marche, Cna Marche, Bio-Distretto del Fermano-Piceno e Distretto Biologico Terre Marchigiane, che hanno preso carta e penna e scritto ai consiglieri regionali. Già nei giorni scorsi, le associazioni rimaste fuori dal tavolo regionale dell’agricoltura avevano espresso il loro disappunto. Adesso vanno oltre, mettendo nero su bianco le loro richieste.

Nell’ordine: il rispetto della legge nazionale, il riconoscimento dei biodistretti già costituiti, l’eliminazione di vincoli e percentuali Sau (superficie agricola utilizzata) per il riconoscimento dei biodistretti, il rispetto delle vocazioni locali nella costituzione e riconoscimento dei biodistretti. «La legge nazionale – spiegano gli scriventi – parla di distretti del cibo per la valorizzazione delle peculiarità locali e mai di distretti regionali». Perciò, il mancato riconoscimento dei biodistretti «blocca la progettualità, lo sviluppo e la partecipazione a bandi, apportando un danno per il territorio dell’agroalimentare».

Da qui, la richiesta di rivedere la delibera di Giunta «riguardante il punto legato ai biodistretti regionali» e a stoppare «ulteriori deliberazioni in merito senza preventiva condivisione». Secondo il Ministero delle politiche agricole, che li ha istituiti, i “distretti del cibo” «nascono con l’obiettivo di promuovere, attraverso le attività agricole e agroalimentari, lo sviluppo locale sostenibile, la coesione e l’inclusione sociale, la salvaguardia del territorio e del paesaggio rurale e con il compito di valorizzare le vocazioni locali, puntando alle filiere produttive connesse all’agroalimentare e al biologico in una logica di sistema in grado di coordinare le attività sul territorio con gli indirizzi operativi condivisi».

I distretti del cibo operano attraverso programmi di progettazione integrata territoriale. Il riconoscimento spetta a Regioni e Province autonome. Nelle Marche, finora, sono operativi quello del Fermano-Piceno e quello delle Terre Marchigiane ed è in fase di promozione quello dell’Anconetano. «Prevedendo solo tre tipi di distretti del cibo (prodotti certificati, prodotti di prossimità e un distretto biologico regionale) – chiosano le associazioni – la delibera di Giunta di gennaio 2021 e tutto ciò che di similare potrà essere ulteriormente riproposto stravolge completamente lo spirito della legge nazionale. Necessita, dunque, un legittimo chiarimento».

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