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La sinistra si compatta attorno a Rossi: "Ti siamo vicini". Ma la testimone incassa: "La verità è stata accertata"

29 Settembre 2020

FERMO - Il giorno dopo, si dice, è quello delle bocce ferme. Dei pensieri pensati. Della pancia che fa posto al cervello. Il giorno dopo è quello dei mea culpa o degli attacchi, dei passi indietro o degli affondi.

Per Pisana Bachetti, il giorno è quello della rivalsa. Che la supertestimone dell’omicidio di Emmanuel Chidi Namdi affida alle parole dell’avvocata Laura Dumi. «Ancora una volta, viene censurata la condotta di chi non esitò a diffamarla, gettando ombre sulla sua credibilità per mere ragioni propagandistiche e per condizionare l’opinione pubblica a favore di un’idea preconcetta, di aprioristica adesione alla versione fornita dalla vedova di Emmanuel, Chimiary, tesi peraltro già smentita in maniera definitiva dalla sentenza di patteggiamento di Mancini” scrive in una nota la legale.

Per Massimo Rossi, condannato per diffamazione aggravata a pagare 400 euro di multa, il giorno dopo è quello degli attestati di solidarietà dei “compagni”. Quelli di Dipende da noi, che abbracciano virtualmente l’ex consigliere comunale. «Noi sappiamo da quale parte stare. Con Massimo e con tutti coloro che quotidianamente si battono quando in gioco ci sono i diritti dei più deboli e insieme la civiltà di un’intera comunità», dicono. E quelli del Comitato 5 luglio, da ieri al centro di un putiferio più o meno social. «A Massimo Rossi va tutta la nostra solidarietà» scrivono.

Ma il giorno dopo è anche quello della polvere alzata che resta per aria. Dei commenti inviperiti e già scordati. E di quelli nuovi, non per forza meno inviperiti. Quattro anni non sono bastati a cicatrizzare la ferita. L’omicidio del nigeriano è un nervo ancora scoperto. Fermo non s’è pacificata. E una parola, una frase, un attacco più o meno politico la riporta indietro, d’un colpo, all'estate del 2016. Gli attacchi al neoconsigliere Andrea Morroni per la foto a pranzo con Amedeo Mancini, tanti li hanno letti come un espediente. La reazione, composta e corale, di Paolo Calcinaro e Renzo Interlenghi, come un atto dovuto. Ma il comitato non arretra di un passo. «È inconcepibile – scrive – che sfugga la gravità che un rappresentante delle istituzioni pubblichi un selfie con il colpevole di un omicidio razzista. Non c’entra la gogna, c’entra la dignità delle istituzioni repubblicane».

E poi: «Il sindaco dovrebbe spiegarci l’ostinata negazione di una targa in ricordo di Emmanuel». Basta questo per far tornare la città a spaccarsi. Il tutto o niente di quella minoranza che voleva, scritto sulla targa, che Emmanuel era stato vittima di razzismo, ha bloccato tutto. Calcinaro non ha ceduto. L’idea che quelle parole potessero marchiare la città s’era fatta largo tra i banchi della maggioranza. Niente da fare.

L’ultimo pensiero del comitato è per Mancini: «Pensiamo che difficilmente la rieducazione di Amedeo possa avvenire con le abituali frequentazioni. Quanto sarebbe importante per lui, piuttosto, la conoscenza della concreta umanità delle persone che “il mondo grande e terribile” ha scaraventato nel nostro Paese e magari anche il lavoro nelle associazioni che cercano di alleviarne la condizione e di integrarle nella società».

Francesca Pasquali

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