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Don Hari si racconta: "I miei 9 anni a P.S.Elpidio tra fede e basket. La squadra è stata la mia famiglia. Ora mi impegno per lo Sri Lanka"

14 Novembre 2022

di Raffaele Vitali

PORTO SANT’ELPIDIO – Don Hari, nome completo Haran Sagadevan, se ne va. Il richiamo della sua terra, lo Sri Lanka, è troppo forte e dopo nove anni lascia la sua seconda casa, Porto Sant’Elpidio.

Il parroco 41 enne, che ha saputo farsi amare dall’Italia, nei suoi nove anni ha girato tutte le parrocchie, ha studiato, ha potuto giocare a basket, la sua passione, ha arricchito i fedeli con le omelie frutto di una grande conoscenza della teologia. La sua ultima messa elpidiense è sata una grande festa, come l'ultimo allenamento in cui, come sempre, è statao quello che ha corso e saltato di più.

Don Hari, partiamo da lontano. Quando e perché è arrivato a Porto Sant’Elpidio?

“Era il 2013, il 23 settembre. Il mio vescovo mi disse: vai a studiare in Italia, dove ero già stato dal 2003 al 2006 per studiare, a Roma. In quel periodo trovai lavoro alla Sadam. Per tre mesi, durante l’estate, ho lavorato come operaio, scaricavo barbabietole e lì ho conosciuto la famiglia di Giancarlo Mezzabotta. Sono loro che mi hanno invitato a tornare in Italia nel 2012. Ho passato un mese durante il quale mi sono confrontato con l’allora vescovo Luigi Conti che mi ha permesso di restare qui a studiare e a servire la comunità”.

Quando ha preso i voti?

“Il 26 luglio 2008, indimenticabile”.

Come mai Poto Sant’Elpidio?

“La prima assegnazione doveva essere Porto Potenza, poi Sant’Elpidio a Mare e infine, erano le 12 del giorno che arrivano, mi assegnano a Porto Sant’Elpidio. Il vescovo mi voleva aiutare, era il posto più comodo per andare a Roma a studiare, potevo prendere il treno per Ancona o il pullman”.

Lo studio la accompagna da sempre.

“Laurea in Teologia Sacramentaria, poi Master e dottorato in Italia. Tutto in otto anni, posso dire di essere stato rapido, in genere ce ne vogliono almeno dieci”.

Cosa accade ora che rientra in patria?

“Nella mia diocesi potrò insegnare, mi hanno già nominato direttore catechetico della diocesi. E insegnerò all’università, uno dei miei sogni”.

Merito del bagaglio accademico?

“In Sri Lanka credo non ce l’abbia nessuno questo livello. Sarò una risorsa. Potendo leggere e scrivere in italiano, ho acquisito una grande conoscenza della teologia. Il mio vescovo dello Sri Lanka ha capito il mio percorso e il fatto che mi fossi reso autonomo, proprio grazie a dei lavori fatti negli anni, borse di studio e il supporto della curia italiana, e ha deciso di farmi crescere in Italia”.

Il suo percorso, fin dal primo giorno, era finalizzato al ritorno?

“Io volevo tornare a casa, nelal mia Avissawella, città a 48 chilometri dalla capitale colombo. Ma prima dovevo e volevo studiare. In Sri Lanka c’è un solo luogo di formazione, quando me ne sono andato ero il capo degli studenti. Loro mi attendono e io torno con umiltà”.

Che paese troverà?

“Diverso da quello che avevo conosciuto. In grande difficoltà economica. I miei amici sono in prima linea da tempo. Questo è il momento di andare perché così posso aiutare le persone”.

Si è sentito ‘italiano’ in questi anni?

“Di certo torno super occidentalizzato. Sono venuto come uno dello Sri Lanka e vado via come un italiano dello Sri Lanka, con un pensiero molto progressista anche in ambito religioso, ma sempre con forte base teologica”.

Il suo Papa è più Francesco o Ratzinger?

“Ratzinger non ha saputo parlare un linguaggio moderno pur avendo unna grande cultura. Papa Francesco venendo da un altro mondo è più pratico, usa un linguaggio che l’occidente può far fatica a capire, ma che coglie il senso della vita e di tutto un mondo non rappresentato”.

Sri Lanka è cattolico?

“76% buddisti, poi induisti, islamisti e un 4% di cattolici. C’è una buona convivialità”.

Pronto a dialogare?

“Certo, nel mio paese I monaci buddisti dominano, il mio primo incontro sarà proprio con il capo monaco. Un segno di rispetto”.

La comunità elpidiense come l’ha vissuta?

“Il calore iniziale è stato grande. Quando ho cominciato a esprimermi bene, anche teologicamente, hanno apprezzato anche i contenuti. Hanno capito che c’era in me un’originalità dettata anche dal io venire da lontano. Sono stato il parroco jolly, non avevo una mia parrocchia e questo mi ha permesso confronti continui”.

Don Hari, lei è giovane, avrà notato che ci sono sempre meno ragazzi in chiesa. Perché?

 “La prima sfida è nel linguaggio, è ancora antico. Schiacciamo la bellezza del vangelo con le nostre parole, siamo troppo sofisticati e così i giovani non colgono il bello. La seconda è che i giovani devono essere protagonisti, anche in chiesa. La messa è ascolto della parola e mangiare insieme, liturgia ed eucarestia. Inutile una predica di 20 minuti se non ti ascoltano, devi riuscire a conquistarli con pochi e chiari concetti. Che non significa leggerezza, ma contenuto e semplicità”.

L’hanno mai respinta perché nero?

“Un episodio simpatico ve lo racconto. E questo i fa riflettere su quello che mi aspetta, visto che in Sri Lanka il prete deve sempre tenere girare con il colletto bianco. A Porto Sant’Elpidio, invece, io spesso uscivo in maniera informale. Un giorno mi chiamano per benedire una salma. Arrivo nella casa, entro e mi dicono: ‘non abbiamo niente da dare, abbiamo un problema oggi. Davvero, vada via’. Resto interdetto, poi capisco che loro pensavano che stessi lì a chiedere l’elemosina. Gli ho detto secco: fatemi passare, perché se non arrivo io il funerale non si può celebrare. Sono rimasti tuti stupiti, ma era anche una famiglia che da un po’ di tempo non frequentava la chiesa e quindi noni avevano mai visti”.

Don Hari, lei ha conquistato i fedeli con le omelie e la disponibilità, ma anche per la sua seconda passione, la pallacanestro. Ogni settimana allenamenti e partite, non si sente un prete strano?

“Il basket è il mio momento di scarico, quello che mi fa stare bene”.

Come è nata la sua passione?

“Le prime partite le ho viste a 20 anni. La prima a Columbus. Ero in pullman e ho visto in un campo un ragazzo che palleggiava e correva. L’ho guardato mi chiedevo che sport fosse. Io ero un giocatore di cricket, pure bravo, ma quella palla mi aveva subito colpito. Quando sono entrato in seminario ho trovato un campetto da basket, ho cominciato ad andarci per palleggiare e non ho più smesso. Ogni fine settimana, dalle 14 alle 17 palleggiavo. E se non succedeva, tutti si preoccupavano”.

Arrivato a Porto Sant’Elpidio, parrocchia e play ground sono diventate le priorità?

“A settembre ero già in piattaforma a giocare. C’erano un po’ di ragazzi. Non ero bravo, ma la passione era tanto. Ho chiesto consigli a don Andrea e poi ho conosciuto Daniele e Lorenzo, due colonne della squadra del Pse Basket nel campionato Csi. Quel gruppo è diventato la mia famiglia, come lo era la piattaforma (il campo sul lungomare nord della città, ndr). Per nove anni sono stato sempre lì, d’estate sul lungomare, d’inverno in palestra”.

Ma è normale per un prete allenarsi due volte a settimana in palestra?
“Ognuno ha il suo mondo. Ci sono miei colleghi che vanno a pranzo insieme la domenica, io volevo il basket. e tutti hanno sempre saputo che il martedì e giovedì sera io ero impegnato. Emergenze a parte”.

E adesso?

“Dove andrò non c’è un campo. Dovremo realizzarlo. Il più vicino è a 40 minuti. Una sfida che voglio vincere. Da quando sono arrivato in Italia ho imparato tantissimo, oggi mi sento davvero un giocatore”.

Porterà fede e basket?

“MI piacerebbe far innovare i giovani della pallacanestro.  Lo sport ha un linguaggio che unisce tutti, non c’è religione.”.

Altri hobby?

“Leggo tanto, sempre testi teologici”.

Don Hari, dove si vede tra dieci anni?

“Di certo spero di migliorare a livello di mediazione, di gestione. Ho un carattere forte. Poi lo deciderà il Signore il mio cammino”.

Nove anni in Italia l’hanno cambiata?

“Ho imparato l’umiltà. Non ero così quando sono arrivato. Leggere il vangelo, dover imparare ogni parola che dovevo dire mi ha fatto crescere. Ho davvero conosciuto il vangelo e guardo la vita in modo diverso. E poi - conclude illuminandosi in volto - ho imparato a giocare a basket”.

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Raffaele Vitali - via Leopardi 10 - 61121 Pesaro (PU) - Cod.Fisc VTLRFL77B02L500Y - Testata giornalistica, aut. Trib.Fermo n.04/2010 del 05/08/2010
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