FERMO – Il dipartimento del commercio degli Stati Uniti ha pubblicato i risultati preliminari di una indagine su alcuni produttori di pasta italiani accusati di dumping. In primis ne sono interessati La Molisana e Pastificio Garofalo, ma la partita riguarda anche altri marchi: Agritalia, Aldino, Antiche tradizioni di Gragnano, Barilla, Gruppo Milo, Pastificio Artigiano Cav. Giuseppe Cocco, Pastificio Chiavenna, Pastificio Liguori, Sgambaro, Pastificio Tamma e Rummo.
L’accusa è “di aver venduto pasta dall'Italia a un prezzo inferiore al valore normale durante il periodo che va dal primo luglio 2023 al 30 giugno 2024". Da qui la decisione di alzare i dazi del 15% del 91,74%. Raggiungendo un irreale 107%.
Nell’elenco non ci sono i pastai marchigiani, a partire da Mancini che in America ha un florido mercato. E così tutto il pool del maccheroncino di Campofilone. Ma il problema è reale, il consumatore americano non potrebbe cogliere la differenza. E infatti, secondo Coldiretti “sarebbe un colpo mortale per il Made in Italy un dazio del 107% sulla pasta italiana, raddoppierebbe il costo di un primo piatto per le famiglie americane e aprirebbe un'autostrada ai prodotti 'Italian sounding', favorendo le imitazioni e penalizzando le nostre imprese”.
Nel 2024 l’export di pasta negli Usa ha raggiunto i 671 milioni »Nel 2024 - denuncia la Coldiretti - l'export di pasta Made in Italy negli Stati Uniti ha raggiunto un valore di 671 milioni di euro, un mercato strategico che verrebbe di fatto azzerato da un dazio di pari entità, cancellando anni di crescita e investimenti lungo la filiera”.
Coldiretti si appella alla politica: “Dobbiamo difendere e valorizzare la filiera della pasta, negli Usa come in Italia, per non svendere una delle nostre eccellenze simbolo. Così come chiediamo il giusto prezzo per il grano italiano, riteniamo sia fondamentale garantire un giusto valore per la pasta. Le accuse di dumping americane sono inaccettabili e strumentali al piano di Trump di spostare le produzioni negli Stati Uniti”.
Preoccupato è il Codacons che teme un aggravio di costi anche per il consumatore italiano: “L'Italia non è solo il primo paese produttore ed esportatore della pasta, ma è anche la nazione che ne fa il consumo più elevato, e qualsiasi tassazione di tale bene alimentare avrebbe effetti a cascata sul settore”.
Stando all’Istat, gli italiani spendono in media 153 euro annui a famiglia. Un conto che tuttavia potrebbe salire nel caso di imposizione di dazi americani al 107% sulla pasta italiana, poiché tale tassazione produrrebbe un effetto domino sul comparto che si farebbe sentire anche sui prezzi al dettaglio praticati in Italia”.
Nel bel Paese, il consumo pro capite di pasta si attesta a 23,3 kg annui. principalmente pasta secca, che detiene una quota di mercato pari al 75%, seguita dalla fresca (15%) e da quella ripiena (10%). Tra i Paesi con maggior consumo di pasta figurano la Tunisia, al secondo posto con 17 kg, il Venezuela (15 kg) e la Grecia (12,2 kg).
In Usa è di 9 chili, circa il doppio rispetto agli anni '80, rendendo la pasta il sesto alimento più consumato nel paese, con importazioni totali che valgono 1,6 miliardi di dollari l'anno, di cui 671 milioni di euro solo dall'Italia. “Negli Stati Uniti la pasta italiana delle marche più note viene venduta a prezzi che oscillano dai 3,5 ai 10 euro al chilo, a seconda del canale di vendita” conclude il Codacons.