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Studenti in piazza a Fermo: "Il lavoro si impara a scuola, non gratis in azienda"

18 Febbraio 2022

FERMO - La colonna sonora è affidata a Sara Hebe, rapper argentina dal ritmo coinvolgente e i testi impegnati. In piazza c’è un mix tra studenti e sindacalisti, Cgil in testa, con una rappresentanza dei lavoratori della Caterpillar di Jesi.

Doveva e voleva essere una manifestazione di chi tra pochi mesi vivrà la maturità, di chi non condivide il percorso dell’alternanza scuola- lavoro, oggi Pcto, è diventata un mix di età e messaggi. Una piazza presidiata, decine di poliziotti in borghese, per evitare di dare una immagine sbagliata, guidati direttamente dal questore Rosa Romano.

In prima linea ecco Riccardo, per il collettivo universitario, con Rodolfo Valentini, studente del Montani. In mezzo alla piazza anche i genitori di Giuseppe Lenoci, il cui nome torna spesso negli interventi, simbolo di qualcosa che sarebbe dovuto andare in un modo molto diverso. Valentini cerca di restare sul tema, lo fa con pacatezza: “È nata in modo spontaneo questa manifestazione, senza partiti. Sentivamo il bisogno di esprimere le problematiche spontanee”. In realtà di bandiere ce ne sono tante: “Noi speriamo nella partecipazione di tante persone e che non ci sia la monopolizzazione della piazza da parte di alcune sigle”.

Non è completamente contro l’Alternanza: “Non è l’introduzione al lavoro nelle scuole che ci preoccupa, sappiamo che serve per il nostro futuro. Ma la formula non funziona. Bisogna investire sui laboratori interni. Serve più efficienza organizzativa, andare oltre l’educazione a trovare un posto di lavoro sfruttato e sottopagato” aggiunge Valentini che cita il Montani come modello: Noi ci sentiamo pronti al lavoro grazie ai professori, ma siamo anche contro il Pcto”.

Sugli Artigianelli Valentini ha una sua idea: “Il problema è simile. Serve una educazione umanistica, una maggior costruzione dell’alunno. Così con più coscienza andrebbe sul lavoro. l’effetto che il lavoro ha sull’alunno dipende principalmente dall’educazione ricevuta dalla scuola, dal lato umano”.

Più strutturato Riccardo del collettivo Depangher, gli universitari di Macerata: “Abbiamo scelto Fermo perché i fatti ce lo impongono. Quello che è accaduto a Giuseppe rappresenta una scuola che mira allo sfruttamento, a un corpo sociale da mandare fuori senza sicurezza. A16 anni non si può morire, non siamo lavoratori”. Lui, come tanti altri in Italia, vorrebbe le dimissioni del ministro Bianchi: “È assurdo parlare di alternanza scuola lavoro, quando si dovrebbe parlare di contenuti”.

Come Valentini, sugli Artigianelli Riccardo è duro: “Scuola professionale non significa stare in azienda. Chi educa al lavoro lo deve fare in maniera virtuosa, non si può affidare l’organizzazione ad aziende esterne. Un 16enne non può morire a 80 chilometri di distanza dalla sua scuola. La sicurezza va garantita dalla scuola, non si può delegare ad aziende esterne che per quanto brave devono mirare al fatturato. No si può insegnare questo a un 16enne” ribadisce. E non accetta la teoria del ‘queste scuole garantiscono lavoro’. “Il tema del lavoro giovanile è un aspetto, la formazione un altro. Se ci sono 4 morti al giorno sul lavoro significa che manca una educazione di base. E questo invece dovrebbe garantire la scuola, non ad andare a lavorare a gratis” conclude ribadendo che gli istituti professionali devono garantire la formazione professionale all’interno, studiandola con le imprese, ma facendola non fuori dal luogo sicuro “attraverso percorsi interni”.

Raffaele Vitali

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