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Saracinesche abbassate al Girasole, protesta nei centri commerciali. "Fateci lavorare, perso un terzo dei clienti"

11 Maggio 2021

di Raffaele Vitali

FERMO – “Come si lavora il we? E chi lo sa, è da novembre che siamo chiusi ogni fine settimana”. Ore 11, dentro il centro commerciale di Fermo si sentono solo i rumori delle saracinesche che scendono. Dipendenti e clienti escono dai negozi e si fermano, per 15 minuti, tra i grandi corridoi del centro Girasole, nel cuore di Campiglione: l’adesione alla protesta nazionale è altissima, tutti chiusi tranne tre realtà per cui le direzioni nazionali hanno deciso di restare aperti. ‘Chiudiamo per restare aperti’ è il messaggio.

“Abbiamo accettato ogni tipo di restrizione, ci siamo adeguati inserendo i sistemi di sicurezza, sappiamo quante persone ci sono e quante potrebbero essercene dentro. E purtroppo – commenta il direttore del centro commerciale, Enea Pecorini – quel limite non l’abbiamo mai raggiunto. Oggi diciamo basta e chiediamo di poter lavorare, garantendo la salute di tutti”.

Lui è il volto di questa struttura che contiene 50 negozi e dà lavoro a trecento dipendenti. Nominato nell’aprile 2019 è il direttore dell’era pandemica: “Un periodo molto complesso, ma un dato c’è: nessuna attività ha chiuso e anzi abbiamo richieste per nuove aperture. Richieste continue”.

Tra chi ha scelto di aprire in piena pandemia, febbraio 2020, c’è la gioielleria dove lavora Sara Tabili. “È durissima, ma ci siamo. L’affitto pesa, inutile negarlo. Inevitabile aderire a questa protesta, per un settore come quello dei gioielli non avere la possibilità di vendere il fine settimana è pesantissimo. Aggiungiamo a questo l’assenza di cerimonie e feste e capite l’impatto. Ma siamo fiduciosi. Certo, se mi chiedete come si lavorerebbe non lo so, chi ha mai visto l’afflusso del sabato? Ma sentendo le colleghe devo avere fiducia”.

Ascoltando i vari commercianti, oltre al direttore, emerge un dato: “Durante la settimana si lavora, inutile negarlo. Ma è una tipologia di clientela diversa, arriva mirata” precisa Pecorini. “Le persone – aggiunge Simona Rossi di Bata – arrivano a prendersi i permessi sul lavoro per poter comprare le scarpe al figlio. Questo significa che chi viene è perché già sa, si perde con il fine settimana chiusi tutta la clientela fatta di curiosi, di chi ha un desiderio ma non è ancora certo, si perde tra l’altro la vallata che è un riferimento per il nostro centro commerciale”.

Eppure la voglia di tornare a fare shopping passeggiando c’è: “Il lunedì mattina il telefono del negozio è peno di chiamate di persone che si informano sulle aperture, quindi basta riaprire e le persone torneranno”.

Di certo si riempirebbero di nuovo parrucchiere ed estetiste: “Nel nostro mondo – riprende Sara Monterubbianesi – ci sono proprio le clienti della domenica. Tante donne che non riescono durante la settimana, quindi capite la perdita. Poi, non parliamo della riduzione del lavoro per le norme: di nove poltrone ne usiamo quattro”.

L’assurdità massima, per tutti, è che non ci si limiti al giorno festivo, ma che si costringano i centri commerciali a restare chiusi anche nel prefestivo: “Tenete conto – chiarisce il direttore Pecorini – che per un centro commerciale il fine settimana vale un terzo degli afflussi settimanali. Considerando che un quinto delle attività è gestito da imprenditori locali, capite anche l’impatto sociale sul territorio. Che dentro le nostre gallerie, sicure e controllate, non si possa lavorare mentre fuori per le stesse attività sì, è inaccettabile a questo punto. Anche perché i dati dicono che non ci sono contagi dentro i centri commerciali”.

Chi lavora senza sosta, perché le chiusure l’hanno toccata mano, è Tezenis: “Siamo uno dei prodotti di fascia garantita. Ma questo non significa non essere solidali. Per cui eccoci qui, con la saracinesca abbassata insieme a tutti i colleghi della galleria. Il fine settimana aperto serve a tutti, anche a chi come noi in zona rossa ha potuto lavorare” precisa Jasmine Coletto.

Speranza, tanta, a tal punto che chi ha un posto al Girasole non lo lascia. Anzi. “Ho scelto di investire ancora, spostandomi il 7 maggio da un corridoio laterale a quello centrale. Per me – chiosa Sonia Troiani di Imperial che fa attendere anche un fornitore per aderire ala protesta– non c’è alternativa al Girasole. Ho gestito molti negozi negli anni, dentro e fuori un centro commerciale. Le garanzie che si hanno qui, da nessun’altra parte. Solo che avendo una clientela moto legata al mondo degli uffici, non poter vendere il sabato e domenica mi pesa tantissimo”.

Si resiste, anche al bar. “Per noi è un disastro, non possiamo servire al bancone e neppure nei tavolini di fronte. Per cui, una persona deve prendere il caffè o la pasta e portarla fuori. Inutile negare, il calo del fatturato è stato di oltre il 50%, per fortuna i dipendenti dei negozi che si servono da noi”.

Lo sa bene il direttore Pecorini che per questo ha organizzato spazi esterni: “La ristorazione dentro i centri commerciali è stata indubbiamente la più penalizzata. Un altro vincolo da togliere. Di certo dal primo giugno, speriamo anche prima. Intanto noi ci siamo, facciamo il possibile e accogliamo tutti in sicurezza” conclude.

@raffaelevitali

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