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Romina, giovane mamma, ha vinto il Covid: "La febbre, il respiro che non c'è e poi quei tubi: sono rinata dopo 35 giorni al Murri"

4 Febbraio 2021

di Francesca Pasquali

PORTO SAN GIORGIO - «State attenti. Non rischiano la vita solo gli anziani. Può succedere a tutti. Anch’io pensavo fosse una normale influenza, ma non è così». È tornata a casa, Romina Santini. Dopo 35 giorni passati al Murri, di cui quasi la metà a lottare tra la vita e la morte.

Che il Covid non fa sconti a nessuno, questa mamma di 42 anni di Porto San Giorgio l’ha capito sulla sua pelle. Quando la febbre s’è alzata e parlare è diventato sempre più faticoso. Poi, la corsa al pronto soccorso, poche ore nel reparto di Malattie infettive, la Tac che dice che i polmoni sono compromessi e il trasferimento in Rianimazione, dove resta per due settimane attaccata ai tubi. Ieri pomeriggio, Romina è tornata a casa.

Cammina a fatica e ha una mano intorpidita. Sa che la battaglia non è finita e che, per tornare quella di prima, dovrà avere pazienza. Ad aspettarla, c’erano i due figli e una festa a sorpresa con tanti palloncini bianchi e gialli. Adesso che il peggio è alle spalle, la donna vuole guardare avanti. «Non importa quanto tempo ci vorrà, saprò aspettare», spiega.

Ripensa alle settimane al Murri, agli «angeli» che non l’hanno mai lasciata sola e al marito Marco, solo a casa con i figli, tutti e tre contagiati. «Mi ha stupito. Non pensavo ce l’avrebbe fatta. È stato forte», dice. Come s’è ammalata, Romina, non lo sa. Un giorno è tornata a casa e non si sentiva bene. Poi sono arrivate febbre e tosse forte. Il tampone positivo e la conferma del molecolare. Dopo due giorni, peggiora. «La saturazione cominciava a diminuire. Parlavo a fatica. Una notte mi sono sentita male. Per non spaventare i bambini, non ho chiamato l’ambulanza. La mattina dopo sono andata al pronto soccorso», racconta.

Era il 30 dicembre. Il giorno dopo è entrata in Malattie infettive, ma la situazione dei polmoni era seria. Il primo gennaio, i medici chiamano il marito per dirgli che l’avrebbero intubata. Dei giorni passati tra sonno e veglia ricorda pochissimo. Gli occhi dei medici e degli infermieri, però, non li dimenticherà. «Per me erano tutto. Come una famiglia – spiega –, visto che la mia non potevo averla accanto. Quando mi hanno detto che mi avrebbero addormentata, non volevo. Avevo paura di non rivedere più i miei bambini. Mi hanno detto che era per il mio bene, che dovevo pensare a loro, fare di tutto per guarire e riabbracciarli. Sono loro che mi hanno dato la forza».

Passano i giorni e Romina migliora. Il 16 gennaio si risveglia e torna in reparto. «Non camminavo più – dice – e non muovevo bene le mani. Ero tornata una bambina piccola. Ho dovuto ricominciare tutto da capo». Ora, coccolata dalla famiglia, sorride alla vita ritrovata.

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