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Rivolta dei ristoratori elpidiensi: megafono in mano e Statale bloccata. "Non siamo terroristi"

2 Aprile 2021

di Francesca Pasquali

PORTO SANT’ELPIDIO - Hanno bloccato la Statale i ristoratori di Porto Sant’Elpidio. A venti all’ora, si sono fermati davanti al Comune. Hanno spento le macchine e pigiato con forza sui clacson.

Un suono continuo, intervallato dal clangore metallico dei coperchi sbattuti uno contro l’altro. Con oggi, sono 175 giorni di chiusura dall'inizio della pandemia, 35 conseccutivi gli ultimi. Chalet, ristoranti, bar, pizzerie e gelaterie. Ma anche b&b e alberghi. Il mondo del turismo che si ribella alle serrate forzate.

Una protesta spontanea, un po’ meno partecipata di come si aspettavano per la verità. Una trentina di operatori che, stamattina, si sono dati appuntamento al parcheggio di fronte al Diamante, prima di salire in auto, direzione centro. «Vogliamo lavorare. Non ce la facciamo più. Non siamo terroristi, ma non abbiamo più una prospettiva», esordisce Piero De Santis, il titolare del Gambero, che guida la protesta.

Niente cartelli, né striscioni. La manifestazione non è autorizzata e i ristoratori non vogliono più guai di quelli che già hanno. Il serpentone parte, lentamente, attraversa la città. Si ferma davanti al Comune e, per due volte, blocca la Statale.

De Santis scende dall’auto. Ha un megafono in mano. «Siamo disperati. Rischiamo di essere chiusi altri trenta giorni. Sarà la fine del nostro settore», dice e chiede vicinanza alla politica. «Mai una telefonata in tutto questo tempo», spiega. Se la prende con i sindacati, Stefano Alessandrini. «Negli ultimi giorni, si sono fatti sentire solo per sapere se ci saremmo vaccinati nelle loro sedi», dice il titolare della trattoria Trentasette. «Siamo abbandonati a noi stessi. Ci fanno stare chiusi, ma i contagi non diminuiscono. Intanto, supermercati e lungomare sono pieni. La zona rossa o la rispettiamo tutti o non ha senso», aggiunge.

È il turno di Antonella Cimadamore. «Il governo – dice la titolare della pizzeria Ciak – non si è fatto scrupoli a sospendere la stagione invernale per quelle attività che lavorano in quel periodo. Pensiamo che non se ne farebbe a sospendere anche quella estiva».

Più che i ristori che arrivano a singhiozzo («il 60% di noi, con lo sbarramento al 30% non riceverà niente», è l’incertezza del futuro a far paura. Quel vivere alla giornata che non può andare avanti in eterno. Con l’asporto che non risolve il problema e l’estate che s’avvicina a lunghe falcate.

Si apre la porta del Comune. Esce il sindaco. Prende anche lui il megafono. «Il messaggio è arrivato forte e chiaro e arriverà anche alle istituzioni che devono ascoltarlo», assicura Nazareno Franchellucci. «La politica deve dare un segnale. È necessario che le parole si traducano in fatti. Questa categoria merita risposte, essendo quella che si è organizzata per prima per riaprire in sicurezza. Tutte le forze politiche hanno manifestato solidarietà, ma non hanno fatto azioni concrete. È fondamentale che si prendano la responsabilità e diano certezze sui tempi di riapertura».

Dopo oltre un’ora arriva la Municipale. Poco dopo, a sirene spiegate, una volante della Polizia. Abbastanza per far ripartire il serpentone, che si disperde nel traffico del Venerdì Santo.

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