MONTEGRANARO – “Non ci sono più mercati di sbocco e i negozi sono sempre meno, soprattutto i multi brand di qualità. A chi vendiamo, considerando che anche l’online è inflazionato dalle griffe?”. L’analisi è di Arturo Venanzi, a poche ore dalla fine del Pitti Uomo. L’imprenditore rappresenta l’azienda calzaturiera Franceschetti di Montegranaro.
Arturo Venanzi, il mercato è in difficoltà?
“E’ appena scoppiata una nuova guerra. Il dramma è che ci stiamo abituando. Dal covid a oggi c’è sempre un problema macro. Oggi viviamo tre guerre, e poi c’è Trump che crea incertezze sulle borse americane che poi impattano anche sui mercati internazionali. Gli attentati in vari paesi. Una somma di fattori che aumentano i dubbi e la gente non consuma. Anche le griffe sono piene di invenduti”.
E quindi?
“Di fronte agli ordini ridotti, dobbiamo stare sulla finestra e intercettare ogni cliente”.
La fascia premium, dicono in molti, cresce. Lei dovrebbe essere contento.
“Mi pare una narrazione lontana dal reale. Il ritorno alla scarpa fatta bene è complesso. Sono convinto che le sneakers alla fine, magari quelle più originali, siano dominanti. Sono prodotti di minor valore manifatturiero, ma valgono molto a livello di immagine. Il marketing pesa davvero tanto. Il problema è che per fare una scarpa competitiva bisogna produrla fuori, se va bene in Romania e Albania. Solo che in questo modo il made in Italy lo penalizziamo davvero”.
Il prezzo sta facendo il mercato?
“Non è solo il prezzo. È l’abitudine del cliente che si trova al centro di una comunicazione che lo ‘rintrona’ e lo spinge a mettere la sneaker. Che non è mica più comoda di una classica”.
Venanzi, il cuoio comodo come la gomma?
“La scarpa fatta fuori ha una qualità decisamente inferiore. Da noi ci sono tempi di produzione che permettono alla scarpa di essere fatta in un certo modo, di avere una calzata perfetta. L’abito non è una giacca, ma non si comprende. La cultura della scarpa lucida per andare a scuola è finta trent’anni fa”.
Cosa può fare un’azienda calzaturiera artigianale?
“Non possiamo sfidare i marchi sul campo della scarpa sportiva. Il marchio ha margini altissimi che investe in marketing, e poi i numeri la scarpa classica non li fa più. Saremo rimaste 100 aziende nel mondo a fare scarpe di un certo tipo, gli altri puntano sullo sportivo. Le griffe devono fare i numeri. Noi che siamo tra quelli che fanno una produzione alta siamo tra i più grandi. Abbiamo un potenziale di 300 paia, ovviamente non usato, gli altri una cinquantina. Quindi è più facile parlare di comodità e flessibilità di una sneakers, cosa tra l’altro non vera, e dominare il mercato. E poi c’è l’abbigliamento, se anche la moda non rilancia il formale, diventa difficile”.
I giovani come raggiungerli?
“La complessità è far capire la scarpa di cuoio. Anche io in famiglia fatico con i nipoti. Come le mettono le sentono rigide, mentre una scarpa di cuoio, dopo uno o due giorni, se fatta bene, diventa una pantofola, si assesta sul piede. Anche la scarpa rigida inziale, quella con il doppio fondo, poi diventa un tutt’uno con il piede, che poi respira al meglio”.
Mercati attuali di Franceschetti?
“Russia ed ex Csi, Germania e Francia che però calano. In Russia avendo una clientela alta risentiamo meno. Abbiamo anche un paio di collaborazioni per far lavorare i dipendenti. Solo con il marchio proprio è dura, con un po’ di conto terzi, un private level con una griffe garantiamo il lavoro ai nostri 40 dipendenti”.
Le collezioni restano determinanti?
“Ci siamo presentati al Pitti Uomo con una collezione nuova, dieci linee. Stiamo investendo, nonostante tutto. Leggerezza delle suole, che noi costruiamo, tra Eva, gomma e cuoio. Abbiamo anche un fondo Vibram speciale. Tutto però sempre raffinato”.