di Raffaele Vitali
FERMO - E' stato l'ultimo a sfidare a Fermo mister preferenza Paolo Calcinaro. Avvocato appassionato di politica, anima di sinsitra, convogliata dentro il Pd, e osservatore attento: Renzo Interlenghi, ma quanto è brutta questa campagna elettorale per le regionali?
“Non direi che è brutta, le acredini ci sono sempre. È che è concentrata in poco tempo, per volontà del Presidente Acquaroli. Da tempo, si sentiva che Ricci avrebbe ricevuto un avviso di garanzia e il centrodestra ha cercato di sfruttare la notizia per scopi elettorali, indicendo le elezioni a ridosso della notizia della notifica dell’avviso. Tattiche elettorali che poco hanno a che vedere con la sostanza dei problemi dei cittadini marchigiani che il centrodestra, in cinque anni, non ha risolto”.
Un caso dietro l’altro, proviamo ad analizzarli? Innanzitutto, secondo lei, avvocato e politico, avvisi di garanzia, lettere e documenti più o meno rilevanti dovrebbero finire costantemente sulla stampa?
“Chi si candida a svolgere un ruolo politico pubblico e riveste incarichi pubblici, deve sapere di essere costantemente sotto i riflettori: è una questione di trasparenza. La censura, in questi casi, sarebbe gravissima”.
E quindi?
“L’avviso di garanzia non è un atto di condanna ma il momento in cui lo Stato comunica a una persona che ha diritto a difendersi da un’incolpazione e non da un’accusa. Incolpare significa che, prima di giungere ad un’accusa, l’interessato possa dimostrare la propria estraneità. La stampa ha il dovere di rendere noti certi fatti perché è la nostra Costituzione che lo prevede all’art. 21.
Allo stesso modo se un amministratore subisce un pignoramento delle sue indennità pubbliche da parte dello Stato o da parte di altri soggetti creditori i cittadini devono saperlo, si chiama trasparenza. L’amministratore, l’eletto, non deve avere condizionamenti, deve essere libero”.
Matteo Ricci, Affidopoli e il ‘non sapevo, mi occupavo di altro’. È credibile questa difesa da parte di un sindaco?
“I piani di valutazione sono due, quello giuridico e quello politico. Sul piano giuridico è la pubblica accusa che deve dimostrare i fatti. In Regione abbiamo assistito al processo “spese pazze” che coinvolse una settantina di consiglieri regionali, poi nella stragrande maggioranza sono stati tutti assolti o prosciolti. Un’intera generazione di politici è rimasta "azzoppata" da quell’inchiesta”.
In questo caso il piano giudiziario si è sovrapposto a quello politico.
“Questo è un errore. A ciò si aggiunga che l’abrogazione del reato di abuso in atti d’ufficio ha ristretto le maglie della perseguibilità di certi fatti e non vorrei che il caso Ricci ne rappresenti una forzatura per farlo rientrare dalla finestra
Sul piano politico, il garantismo deve essere la stella polare al fine di avere un approccio laico rispetto al fatto che un politico risulti indagato e l’opinione pubblica deve riappropriarsi del concetto di presunzione di innocenza, anche qui sancito dalla nostra Costituzione all’art. 27.
Se Ricci dichiara “non sapevo” ho il dovere di credergli, anche perché il sistema adottato con la riforma Bassanini ha esautorato la parte politica dalle scelte tecnico amministrative al fine di evitare commistioni tra amministratore e dipendente pubblico.
Nessuno può negare che essere sindaco di una città capoluogo come Pesaro abbia comportato una miriade di incombenze, quindi: sì, è credibile quando afferma: ‘non sapevo, mi occupavo di altro’”.
Venendo al Fermano, è esplosa la ‘querelle Putzu’, il consigliere regionale di FdI attaccato dal suo collega di partito, e presidente Erap (fino al 4 agosto, ndr) Saturnino di Ruscio. Credo vada affrontata su più livelli. Partiamo dal tecnico, come è possibile che una condanna in Cassazione non risulti agli atti?
“Intanto occorre capire in quali atti debba risultare. Di sicuro non compare su un casellario giudiziale ad uso privato e richiesto dall’interessato, qualora abbia riportato una condanna con la “non menzione”. L’Autorità Giudiziaria e le forze dell’ordine, invece, ne sono formalmente a conoscenza.
Per snellire le procedure di controllo, però, la legge prevede che l’interessato il quale, come nella fattispecie, si voglia candidare, autocertifichi alcuni dati, tra cui l’inesistenza di cause di incandidabilità e, in caso di falsa dichiarazione, incorre nel reato specifico che prevede una pena fino a due anni (art. 483 c.p.).
In questo caso, però, la questione è singolare perché, da un lato, la stessa Cassazione ha sostenuto che non commetta il delitto di falso colui che autocertifichi la mancanza di condanne pur a seguito di sentenza di patteggiamento, che non risulti dal casellario c.d. ad uso personale, per carenza di dolo. Dall’altro l’interessato avrebbe dichiarato l’insussistenza di cause di incandidabilità, invece sussistenti per l’intervenuta condanna e avrebbe dovuto dichiararle”.
Il falso ideologico, relativo alla convalida di alcune firme su migliaia, è un reato così grave da stoppare la candidatura o addirittura l’attività avviata di un politico?
“Il problema non è rappresentato dalla gravità del fatto in sé ma dalla circostanza che la legge Severino preveda, all’art. 7 comma, 1 lett. d), l’incandidabilità per coloro che abbiano riportato condanne superiori a sei mesi per reati commessi con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o un pubblico servizio (nella fattispecie aver autenticato firme false). E’ un falso ideologico in atto pubblico”.
Putzu a rischio?
“Tutti i cittadini devono rispettare le regole, siano essi politici o no e la legge, in questo caso, è tranciante perché lo spirito della Severino è quello di prevenire e contrastare la corruzione e l'illegalità nella pubblica amministrazione, in particolare attraverso l'incandidabilità e la sospensione dalle cariche elettive per coloro che hanno riportato condanne per determinati reati. Dura lex sed lex”.
Cosa pensa della riabilitazione, davvero in venti giorni si può risolvere tutto?
“La Legge prevede che il tempo dell’incandidabilità possa essere ridotto qualora intervenga la riabilitazione da parte del Tribunale di Sorveglianza. D’altra parte, se è vero che Putzu abbia avanzato richiesta di riabilitazione, rappresenta la dimostrazione del fatto che un problema esista e che una mucca sia entrata nel corridoio, come diceva Bersani. La riabilitazione non risolve, però, la questione legata alla nullità dell’elezione che resta tale, quindi il consigliere dovrà essere dichiarato, tout court, decaduto (salvo il ricorso all’Autorità Giudiziaria Ordinaria da parte sua) e dovrà subentrare il primo dei non eletti (Di Ruscio)”.
In prospettiva?
“Ecco, al più potrebbe sortire qualche risultato in occasione della candidature per le prossime elezioni ma dubito che il Tribunale di Sorveglianza, dinanzi alla falsa dichiarazione in ordine alla inesistenza di causa di incandidabilità resa nel 2020, possa ritenere l’interessato meritevole di riabilitazione, ma il giudizio spetta al detto Tribunale.
La vicenda ha aperto uno scenario fatto di vari livelli da quello penale, a quello amministrativo, a quello contabile. In caso di nullità dell’elezione la Corte dei Conti dovrà recuperare tutte le somme lorde percepite dal consigliere sino ad oggi”.
Interlenghi, chiudiamo con il lato politico: fosse in Acquaroli, lei lo candiderebbe? E fosse in Ricci, lei sarebbe così sereno e sicuro?
“Non posso sostituirmi alle valutazioni del presidente Acquaroli. Di sicuro la vicenda getta un’ombra su Fratelli d'Italia, considerato che la presidente Meloni ha sempre fatto della sua “non ricattabilità” uno degli slogan più efficaci. Oggi, un suo fedelissimo braccio destro viene colto in fallo e, di conseguenza, come si comporterà agli occhi dei cittadini? Se decideranno di metterlo in pausa si indebolirà la lista, ma credo che lo candideranno solo se saranno certi della sua estraneità a qualsivoglia problematica sollevata da Di Ruscio, altrimenti sarebbe uno smacco per tutti gli altri candidati che hanno le carte in regola.
Quanto al caso Ricci, la mia esperienza lavorativa mi induce a mantenere una certa serenità e sicurezza perché sono certo che ne uscirà a testa alta e non dimentichiamo la presunzione di innocenza dettata dalla Costituzione. La questione, comunque, sarà stata vagliata da chi di dovere e avranno preso le corrette decisioni sulla base degli atti di indagine che non conosco”.
Secondo lei prima o poi si parlerà di contenuti o sarà un'estate di carte bollate, allusioni, post e dichiarazioni social che provano a indirizzare la testa della gente?
“Purtroppo l’informazione, oggi, è legata al lancio di slogan che riescano ad orientare la volontà popolare. Manca l’approfondimento, non solo da parte di chi fa campagna elettorale, ma anche da parte dei cittadini votanti. Carte bollate, allusioni, post e dichiarazioni social fanno parte del gioco e in politica c’è una regola: “Vince sempre il più forte” il che non significa che sia anche il più capace e preparato ma colui che riesce a convincere, con i mezzi dati, più persone a votarlo. I contenuti sono sempre più marginali. La politica che si basa sulla forza elettorale dei singoli candidati è deleteria perché questi promettono qualcosa ai “propri elettori” e coloro che restano fuori da questo cerchio magico si sentono messi fuori e non vanno a votare”.
Il peso economico quindi riduce le possibilità di partecipazione o quantomeno di vittoria?
“Oggi più di ieri, la politica è per i ricchi. Le campagne elettorali, serie, costano decine di migliaia di euro. Una persona giovane, un disoccupato, un operaio non potranno mai raggiungere certe mete perché i partiti non sono in grado di sostenere i costi elettorali. Questa non è democrazia, ecco il motivo per cui la gente non va più a votare. Il famoso distacco tra cittadini e governanti è proprio questo: non sentirsi protagonisti di un cambiamento, trovandosi di fronte alla scelta di dover delegare sempre coloro che non sanno cosa significhi non avere una casa, non avere un salario, vedersi espropriati della vita e della dignità. La questione è garantire l’opportunità, a tutti, affinché possano ambire a ricoprire un ruolo per il bene comune”.