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Piano per la moda, ecco cosa serve per 'salvare le imprese'. Capasa: credito d'imposta, il Governo deve rimediare

18 Novembre 2024

di Raffaele Vitali

La moda non è nel suo periodo migliore e i suoi leader lo sanno. In attesa di tornare a lavorare insieme SMI e Confindustria Moda, per domani è annunciata la nascita di una nuova sovrastruttura, Carlo Capasa, presidente della Camera Nazionale della Moda, ha analizzato il momento e anticipato soluzioni durante il Fashion Summit.

Capasa, cosa pensa delle promesse del ministro Urso, anche in tema di credito d’imposta?

“Argomento annoso, serio e grave. Dobbiamo pensare che ci sono aziende, anche le piccole, una che fa modelli che di colpo deve restituire del denaro che aveva legittimamente operato e ha fatto investimenti. Poi di colpo, nel 2022, dopo 4 anni, il Governo dice ‘abbiamo sbagliato, ridateci i soldi’. Qualcosa di inaccettabile”.

Cosa accade ora?

“O si aprono un sacco di contenziosi, sapendo che già la Finanza è entrata in molte imprese, con amministratori a rischio di procedimenti pensali, o si cambia (l’appello della moda marchigiana è anche al presidente Acquaroli perché lavori sulla filiera di partito, è di FdI come Urso) . Abbiamo fatto proposte per superare questo stallo. Abbiamo proposto di restituire il 30% dilazionato e di tenere esenti le aziende sotto i 5 milioni di fatturato. Lo Stato avrebbe un income in ogni caso. Quello che propone il ministro non è accettabile dire che vi ridiamo in base a quello che vi ridiamo, non regge, si aspettano 4 miliardi e ci ridanno 190 milioni. Il problema tra l’altro è per la moda, noi avevamo una faq e abbiamo fatto quanto richiesto. Ci vuole uno sforzo, la legalità è importante, il cittadino deve sentirsi tutelato almeno rispetto alle leggi emanate. Qui ci sono imprese in crisi che andrebbero ancora più in crisi, soprattutto nel tessile e abbigliamento che è il settore più colpito da questa norma. Dei 100miliardi di fatturato, 90 li esportiamo e 25 vanno nelle casse dello Stato, credo che convegna a tuti tenere viva la nostra industria”.

Quadro complesso, dove intervenire?

“C’è una crisi che non riguarda gioielli e occhialeria, cosmetica e profumi che crescono in doppia cifra. Poi ci sono abbigliamento e accessorio che scendono dell’8%. Il tutto ci fa pensare a un calo finale generale di almeno 3%. Un pezzo di moda funziona. Poi ci sono fattori che ci bloccano: i consumi cinesi in primis. Scendono i consumi interni, ma è colpa del calo di acquisti degli stranieri, in particolare dei cinesi in Europa. Crescono duty free interni e paesi limitrofi, tanto che abbiamo visto luoghi come la Thailandia diventare un player”.

Capasa, il problema è anche la voglia di emergere dei designer cinesi?

“Crescono, anche grazie alla spinta culturale verso il consumo dei prodotti interni. Sono brand che competono nella fascia di mezzo, quel soft luxury che piace. Stanno quindi aumentando. Noi dobbiamo trovare delle risposte, con messaggi forti: creatività, su cui siamo i più bravi di tutti. Penso alla materia prima, all’accessorio; sostenibilità, ma dobbiamo raccontarla, non è solo questione di materiali. Per loro è diminuzione di emissione, per noi è sociale, e va comunicata, è durabilità, è economia circolare: facciamone una bandiera”.

Fast fashion, crisi o futuro?

“Il problema sono le norme. Pensiamo alla durabilità. Per noi è il contrario, anche se con leggi europee si stanno accreditando. Se parliamo di durabilità, in Europa viene definita usando un tessuto 10x10 che viene stressato. L’azienda che usa quel tessuto è più sostenibile e ha punteggio, peccato che quel tessuto è magari sintetico e va a finire nelle maglie da calcio e sportive che finiscono in carica dopo 6 mesi. Magari il pizzo di lana non regge lo stress, ma poi dura per tre generazioni in un armadio. Parliamo di durabilità emotiva, usiamo questo passaporto digitale e lì valuteremo un brand e la sostenibilità. L’Europa non sta neppure guardando al concetto di biodegradabilità”.

Tutto molto complesso, come aiutare le PMI?

“Per il Pnrr, ma non ci hanno poi accettato, avevamo lanciato il progetto di digitalizzare i distretti. Ogni impresa, anche quella con tre persone, avrebbe potuto attingere via cloud al sistema e abbattere l’impatto della digitalizzazione dal lato economico. Avrebbe visto garantiti i benefici per poter così arrivare ai prodotti tracciabili. Avremmo dato alla piccola impresa la possibilità di stare sul mercato. Non è stata accettata, ma la rilanceremo”.

Cosa pensate di fare?

“Lavoriamo su un progetto pilota, proteggiamo le piccole imprese. Nella prossima Finanziaria abbiamo chiesto tante cose: la Cig per le imprese sotto i 15 dipendenti, formazione affidata a chi mandiamo in pensione e che teniamo per due anni a formare defiscalizzandone il ruolo per poter trasmettere i saperi; se c’è una impresa in crisi, diamo la possibilità ad aziende più grandi di investire con sgravi fiscali di 2-3 anni. Ci sono tante cose fattibili per tutelare il nostro patrimonio di piccole aziende”.

Altro?

“Un protocollo con certificazione chiara sulla filiera e sub filiera. Deve essere usabile a livello di certificazioni, una garanzia anche per i grandi brand. Speriamo che il ministro Urso ci tenga davvero alla moda”.

Raffaele Vitali - via Leopardi 10 - 61121 Pesaro (PU) - Cod.Fisc VTLRFL77B02L500Y - Testata giornalistica, aut. Trib.Fermo n.04/2010 del 05/08/2010
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