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Mangialardi: "Noi e il trumpismo"

8 Gennaio 2021

*di Maurizio Mangialardi

I gravi fatti di Washington che hanno aperto il 2021 non ci raccontano solo le profonde contraddizioni e le crescenti tensioni sociali di una società, quella americana, che l’Amministrazione Trump, nel corso dell’ultimo quadriennio, ha cavalcato ed esasperato fino alle estreme conseguenze, manifestatesi in tutta la loro prepotenza con l’assalto a Capitol Hill.

No, quelle violenze parlano anche a noi europei e, in particolare, a noi italiani. Non sfuggirà a nessuno, infatti, come l’ascesa di Trump, e tutto ciò che ne è conseguito, abbia rappresentato un modello rivendicato da tanti leader politici europei, peraltro non solo di estrema destra, vedasi il caso della Lega di Matteo Salvini e di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, solo per restare nel nostro Paese, ma anche in certi settori moderati del centrodestra e all’interno di formazioni populiste come il Movimento 5 Stelle.

L’aggressiva retorica anti-establishment, la xenofobia sfociata nel più becero razzismo e il suprematismo bianco, l’incoraggiamento di ogni grezzo complottismo, da ultimo quello drammaticamente fomentato riguardo al Covid, l’esasperazione delle difficoltà della middle-class generate dalla crisi economica del 2008, senza peraltro offrire alcuna risposta reale, sono stati i tratti distintivi del trumpismo. 

Un veleno, e sta qui forse il maggiore successo ottenuto dal Tycoon americano, che ha saputo varcare il confini degli Stati Uniti e raggiungere l’Europa, trovando fertile sponda nella nostre destre, le quali, va dato atto, hanno saputo declinare questa politica nei vari contesti nazionali, facendo leva sulle varie emergenze sociali, non dando risposte, esattamente come Trump, ma offrendo alle legittime paure di tanti cittadini un immaginario riassumibile con la volontà di dare ai penultimi (o a chi si sente tale) qualcuno che sta peggio di loro, un capro espiatorio da calpestare e intorno al quale costruire un’identità chiusa, pregna di egoismo, individualismo, odio, rifiuto di una solidarietà universale e della diversità, perfino ammiccante all’idea che, forse, persino libertà e democrazia rappresentino una posta sacrificabile di fronte all’esigenza di essere rassicurati.
Di ciò, in Italia, ne abbiamo avuto prova tangibile durante la breve, per fortuna, parentesi del governo giallo-verde, iniziata con il durissimo attacco alle prerogative costituzionali del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, reo di aver opposto il proprio veto sulla nomina a ministro di Paolo Savona, e proseguita con provvedimenti volti a dare in pasto alla pancia degli elettori decine di uomini, donne e bambini, lasciati per giorni in mezzo al mare con la chiusura dei porti, o ad armare le mani di improvvisati pistoleri della porta accanto, allargando pericolosamente le maglie della legislazione sulla legittima difesa. 

Non illudiamoci, dunque, che i guasti culturali creati dal trumpismo, la sua carica oggettivamente eversiva, siano un qualcosa che non ci riguarda. Anzi, non è difficile scorgere un certo suo radicamento a livello territoriale, e non solo laddove la Lega governa da decenni, ma anche, tanto per restare al qui e ora, in realtà come quella marchigiana. 

Ovviamente, la consapevolezza del rischio che incombe sull’Europa grazie all’accresciuto consenso delle destre europee, e soprattutto la certezza che queste siano incapaci non solo di rispondere ai complessi problemi delle società contemporanee, ma addirittura siano motore di pulsioni disgregatrici, non toglie ai riformisti e alle sinistre europee la necessità di ripensare a loro volta modelli che hanno in parte favorite l’emergere del populismo. 

La crisi sanitaria che ha investito il continente, ma ancora di più la risposta che i Paesi europei hanno saputo dare, possono e devono rappresentare l’inizio di un nuovo corso per rafforzare politicamente l’architettura politica dell’Unione, andare oltre la visone di un mercato e di una moneta comune, per costruire un progetto capace di riscoprire il più alto e autentico valore del termine riformismo.

Che non è, come lo si è considerato per troppo tempo, un termine neutro, ma il pilastro di una politica volta al progressivo miglioramento delle condizioni di vita degli individui, alla costruzione di un modello sociale ed economico sostenibile, al dispiegamento di politiche sociali efficaci e universali, in grado di tutelare realmente le fasce più fragili della popolazione. 

È su questo terreno che si gioca la possibilità di disinnescare la bomba del trumpismo e dei suoi epigoni europei. Ma bisogna fare in fretta.

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