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La storia dell'infermiera Timi: "Lottiamo contro il coronavirus, ma perdiamo con la burocrazia"

6 Maggio 2020

di Raffaele Vitali

TORINO/ FERMO – “Vivo sulla mia pelle l’andamento della situazione che ancora è tragica”. Grazia Timi, fermana doc, dopo 30anni da infermiera a Fermo, tra sanità territoriale e Murri, da un anno è in forza al Molinette di Torino.

“Da inizio emergenza sono stata trasferita alla semintensiva, altrimenti la mia sede è l’Utic di cardiologia. Un reparto che avevo voluto con forza, perché volevo l’urgenza” spiega. La sua storia è a due facce: da un lato c’è il lavoro, quello per cui l’infermiere nasce, dall’altro c’è la burocrazia, quella che ti lascia senza parole.

“Ricordo ancora quando mi hanno chiamato per andare nel reparto Covid. Non ero sola, eravamo una ventina tra infermieri e medici che arrivavano da altri reparti. Un gruppo nato da una notte all’altra”. Insieme hanno iniziato ad affrontare sfide emotive e fisiche. “La nostra forza è che ci siamo incontrati per caso e siamo diventati una squadra. Siamo compattissimi. E questa è la risorsa. Anche nei momenti più complicati emotivamente c’è il sostegno dell’altro”.

La forza del gruppo è determinante: “Poi ci sono i crolli, perché vivi con i pazienti la loro tristezza, la solitudine delle persone che entrano e magari sanno di avere la moglie o il marito nell’altra stanza. E magari è grave e tu devi trovare il modo di non far preoccupare chi sta annaspando”.

E poi ci sono i morti: “Pochi giorni fa un paziente, mentre smontavo il turno, mi ha detto ‘mi rendo conto che è la mia fine’. La mattina dopo sono tornata al lavoro e purtroppo era morto”. Questo è lavorare a Fermo o a Torino o in ogni angolo d’Italia colpito dal coronavirus: “Comunicare con le pazienti è difficile. Usi gli occhi, usi la gestualità, usi l’Ipad, i fogli di carta. Certi di interagire con chi è sotto un casco”. Poi ci sono i sorrisi di chi ce la fa: “Quando uno esce e ti guarda lasciando il reparto. Il primo paziente lo abbiamo nel cuore”.

Solo che poi arriva la burocrazia. Incredibile ma vero, colpisce ance loro, gli ‘eroi’ da prima pagina. “Avrei avuto diritto a cento euro di premio in busta paga, perché sto in un reparto Covid. Ma per averli, e parliamo veramente di poca cosa, mi hanno chiesto di presentare le buste paga dell’anno scorso, dei primi quattro mesi in cui ancora lavoravo al Murri. Pensavo fosse una cosa semplice e invece, incredibile, mi hanno chiesto di pagare per ogni cedolino mensile”.

Praticamente per avere una piccola gratifica, Grazia Timi avrebbe dovuto pagare la burocrazia che anche nella sanità non manca. “O aspetta l’invio del Cud o paga” è il sunto del messaggio arrivato dagli uffici dell’Area Vasta 4. “Insomma, per avere 100 euro avrei dovuto lasciarne 16 al Murri. E siccome mi è sembrata una cosa ridicola, ho rinunciato al ‘premio’ che il Molinette mi avrebbe dato se avessi rispettato la scadenza di fine aprile” aggiunge ribadendo la delusione non tanto per i 100 euro, ma per l’assenza di buonsenso. “Mi è sembrato incredibile che l’Area Vasta mi chiedesse di pagare per qualcosa che è mio, soprattutto oggi che siamo tutti impegnati 15 ore al giorno in corsia”.

Pazienza, dopo 30 anni di lavoro a Fermo, di cui gli ultimi sei al pronto soccorso con il dottor Giostra, “un primario meraviglioso”, oggi la sua professionalità l’ha portata aa Torino, per amore. “Quando mi hanno chiesto di entrare in una struttura Covid non ho esitato. Una scelta che all’inizio ho pagato, perché l’ho preso quasi subito: non avevo gusto, il fiato era corto e la febbre andava e veniva. Un po’ di paura, ma l’ho superato e sono tornata al lavoro, con la squadra”.

Questo è essere infermieri, più forti di tutto. “Peccato la burocrazia, ma ho raccontato tutto alla direzione del Molinette e ho trovato comprensione, posticiperanno la scadenza per permettermi di presentare il Cud”. Sorride, tra un paio di mesi potrebbe avere 100 euro in più. Ecco gli eroi quotidiani ai tempi di Covid e burocrazia.

@raffaelevitali

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