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La prefetta Filippi: "Violenza sulle donne, dobbiamo arrivare prima o perdiamo"

25 Novembre 2019

di Raffaele Vitali

Scarpa rosso vernice, ma non solo. Abito, cappotto e borsa tutto rosso: il prefetto di Fermo, Vincenza Filippi, manda un messaggio chiaro, con le parole e con l’immagine: la violenza contro le donne va fermata. “Ma dovremmo dire la violenza di genere, la violenza sull’essere umano”.

Prefetto, il 25 novembre è il giorno della riflessione, ma è un giorno solo (leggi editoriale)?

“Questo è un grande tema, non deve e non può essere solo oggi il giorno dell’attenzione, della riflessione, dell’azione. L’impegno all’educazione alla legalità deve entrare ogni giorno nelle scuole e nelle case. È fondamentale insegnare il giusto comportamento ai più piccoli, che potrebbero essere deviati da quanto vedono a casa, magari da semplici vessazioni che danno però l’idea dell’uomo forte che soggioga la donna. Peer questo dobbiamo fare in modo che non sia solo il 25 novembre il giorno del ‘no’, ma che ogni momento diventi utili a contrastare la violenza sull’altro”.

In questo contesto rientra la rete nata in Prefettura che unisce istituzioni, associazioni, scuole e forze dell’ordine?

“Uno dei compiti è quello della formazione. Noi abbiamo la fortuna di avere al nostro fianco efficienti forze di polizia, ma non possono essere ovunque. Va creata una cultura di rispetto e non violenza, in primis dentro le famiglie che deve avere al suo interno la cultura della legalità. La rete permette di monitorare e informare”.

Aumentano le denunce, si può essere felici di questo dato?

“I numeri hanno sempre una doppia lettura. Chiaro che non esultiamo, ma è anche la prova che il sistema sta funzionando, che finalmente c’è l’emersione di quanto accade nel privato. Torno coni ricordi al 2010, ero vicario e in un pronto soccorso avviammo il codice rosa. È stato fondamentale per dare il primo supporto e la forza alle donne vittime di violenza. È così, più se ne parla e più si mettono a disposizione strumenti e maggiore saranno i casi che emergeranno e che ci permetteranno come istituzioni di agire”.

La violenza in casa ha più difficoltà ad uscire, anche perché spesso sono molestie più che violenza pura, lei crede nell’aiuto del vicinato?

“Uno strumento in più che non può sostituirsi alle forze di polizia. Ma dove c’è la sensibilizzazione, l’attenzione in casi anomali che uno percepisce. O magari la capacità di cogliere lo stato di soggezione, vuoi perché straniere o perché prive di strumenti culturali: chi vive al lor fianco può stimolare, aiutare, fare opera di sensibilizzazione per far uscire i problemi e farli arrivare alla rete. Serve tutto”.

Obiettivo è punire o prevenire?

“La prevenzione è la chiave, perché la repressione diventa quasi una sconfitta, visto che arriva dopo che il fatto è avvenuto ed è la patologia del sistema. Se interveniamo dopo, il soggetto è già vittima. Per prevenire serve cultura e anche in questo si inserisce la campagna della Polizia di Stato ‘Questo non è amore’ che oggi si celebra”.

Il 75% dei violenti è italiano, secondo le statistiche. Gli stranieri non denunciano, ma sembrano sempre loro i ‘cattivi’?

“Spesso si parla di degrado morale, che non è per forza collegato a quello economico, di certo è sempre culturale. Parliamo di forme di possessività malate, il non riconoscere che l’altro non ha diritto come me a una sua autonomia. Un amore finito non viene accettato, ma diventa momento di abbandono e quindi si prova ad annullare e svilire l’altro. Il dato fotografa l’Italia, chiaro che gli altri casi emergono meno. Ma non va mai dimenticato che tra gli italiani ci sono anche gli stranieri di seconda generazione. Per questo è sbagliato farne un problema di etnia, di provenienza. Poi leggere il 75% di italiani fa soffrire e da qui si deve ripartire”.

Ci sono le risorse per aiutare le donne?

“In ambito di ospedali si potrebbero inserire più figure, ma come sempre servono soldi. Così come sappiamo bene che la denuncia da parte della donna del marito, del compagno di vita, poi apre anche possibili scenari di difficoltà economica. La crescita della rete antiviolenza è anche in questo campo, bisogna dare garanzie a chi subisce la violenza di non avere un futuro difficile se prede la garanzia economica dell’uomo. Il percorso sarà completo quando daremo anche autonomia economica, in modo da dare un futuro diverso a chi ha perso tutto trovando la forza di denunciare”.

Lato minori, cosa fare?
“Spesso parliamo di violenza di genere rivolta alle donne. Ma non pensiamo a quanto figli e minori sono invischiati da un punto di vista morale, solo assistere a queste violenza può far diventare poi un soggetto a sua volta violento. E ci sono gli omicidi che coinvolgono minori. Emergono storie di figli di donne uccise dai mariti che sono doppie vittime: perdono il riferimento familiare e magari anche il sostengo economico per il proprio futuro”.

È fiduciosa?
“Tanto si è fatto e tanto si sta facendo. Questa giornata è il cardine, ma non possiamo fermarci qui. Gli strumenti legislativi migliorano (annuisce il sindaco – avvocato Paolo Calcinaro che con l’Ambito ha aperto una casa per le donne vittime di tratta, ndr), come ad esempio il codice rosso che dà una definizione a qualcosa che già si faceva ma che oggi ha percorsi definiti”.

Fermo in questo quadro come si colloca?

La risposta al vicario del questore, il dottor Messina: “Le percentuali non cambiano rispetto all’Italia. anche fermo è una realtà ancora in costruzione. Per tre anni ho seguito a Reggio Emilia il settore stalking e violenza sulle donne. Quello che non dobbiamo sbagliare è parametrare italiano e straniero. Ragioniamo sul fatto che chi picchia le donne, i bambini è una persona instabile con grossi problemi. Che va aiutato, ma una volta che le sue vittime vengono messi in sicurezza. Nel Fermano la situazione è monitorata, il personale che c’è anche se poco interviene velocemente e l’autorità giudiziaria pone massima attenzione”.

@raffaelevitali

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