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La pittura come cura: l'Oncologia di Fermo è sempre più umana

10 Dicembre 2019

FERMO – In mano hanno un pennello, negli occhi paesaggi, scorci, dettagli, nel cuore la serenità di chi ogni giorno lotta per viverlo al meglio. Sono Vincenza D’Angelo e Manuela Di Gregorio. In comune non hanno solo la pittura, anche il luogo dove si sono conosciute, il reparto di oncologia del Murri. È da lì, nella difficoltà di chi però non cede di fronte alla debolezza che malattia e cure provocano, che è nata l’idea. Certo, c’è voluta la spinta di un dottore con il sorriso stampato sul voto, Luigi Acito, e la costanza di un’associazione come l’Anpof, che è sempre pronta a mettersi a disposizione per un solo scopo: far stare meglio i pazienti anche durante le ore delle cure.

Insieme Manuela, oggi volontaria Anpof, e Vincenza, una veterana del reparto con i suoi sei anni di cure, hanno deciso di esporre le loro opere frutto di passioni covate nel tempo e, nel caso di Vincenza, esplose come un vulcano tre anni fa. “La psicologa – spiega Vincenza – mi diceva sempre che se c’era qualcosa che volevo fare e che non ero mai riuscita a portare avanti, questo sarebbe stato il momento giusto. Ho cucito, ricamato, ho fatto tanto nella mia vita, ma la pittura l’ho sempre tenuta in un cassetto intimo. Mi hanno convinto e per me è stata come una esplosione di emozioni. All’inizio non mi fermavo più, non facevo che dipingere, poi grazie al un corso seguito a Porto San Giorgio ho affinato la tecnica, superando la mia passione da autodidatta”. Sono nati così i primi quadri di Vincenza: “Dipingo perché mi fa stare bene. Riproduco qualcosa che vedo su internet, la sfida ora è di dipingere quello che scopro, qualcosa di mio davvero. Ma intanto va bene così, i colori, le immagini, mi fanno vivere meglio ogni momento. Per fortuna che il dottor Acito ha insistito”.

Perché questo è il senso di un pennello in mano a chi vive il reparto di oncologia: “Stare bene”. Così è per Manuela: “Lo spunto lo ha dato Acito, che vedeva in Vincenza uno stimolo. Sapendo che io dipingo, ho fatto qualche mostra, mi ha coinvolto. La pittura è una mia passione, ho frequentato l’Artistico, ma l’acquerello  è entrato nella mia vita da pochi anni”. E non si direbbe, alcuni quadri sono bellissimi e saranno ammirabili anche nello spazio di Intanto all’ex mercato coperto di Fermo. “La pittura è un modo per rilassarsi. Io l’ho vissuto questo reparto da paziente e ora da volontaria, so bene cosa significa avere momenti di serenità”.

Ascoltano soddisfatti i dottori che nella nuova sala di attesa di oncologia hanno creduto: “Abbiamo trovato una direzione illuminata, devo dire grazie a Licio Livini. Non è così scontato che le idee possano poi concretizzarsi. Non bastano i volontari, il desiderio, serve la volontà. E noi oggi possiamo offrire sempre più servizi grazie a una collaborazione continua. Stiamo cercando di far vedere il volto delle persone. Non bisogna fermarsi al paziente, che è chiaramente il nostro compito curare al meglio. L’accoppiata medicina – mente è fondamentale. Ogni stimolo positivo aiuta a combattere la malattia” aggiunge il primario Renato Bisonni.

Ed è vero, lo dicono le pazienti stesse: “Con questi quadri voglio dire a chi si cura che se ha un dono, se sente di avere una passione, deve assecondarli. E magari farsi aiutare per farlo emergere. Poi si sentirà meglio e anche il dolore delle terapie si allieverà”. Si va ‘oltre l’ospedale’ a Oncologia. Grazie al gioco di squadra che Michaela Vitarelli, guida dei 23 volontari dell’Anpof, cerca di agevolare: “Ormai questa è un’azienda senza profitto che mi riempie il tempo. Tutto quello che tolgo alla azienda vera. Ma la forza che ne ricavo io, come gli altri volontari, ci ripaga dell’impegno. Dopo la musica, ecco la pittura, siamo sempre più convinti che l’arte sia un pezzo della terapia e insieme ad Asur e medici cercheremo di portare corsi all’interno del reparto”. E tutto lascia pensare che ci riusciranno: “Sono favorevole, va pensata al meglio. C’era una proposta avanzata da Alessandra Mancini, la dobbiamo riprendere. L’umanizzazione delle cure passa anche da qui” conclude Bisonni.

Raffaele Vitali

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