
di Raffaele Vitali
MONTEGRANARO - “Solo investendo con decisione possiamo garantire che il Made in Italy continui a essere un modello di eccellenza, riconosciuto in tutto il mondo. Lo dobbiamo alle nostre aziende e ai giovani, che sono il nostro futuro e ai quali dobbiamo dare un progetto cui aderire”. Il messaggio di Giovanna Ceolini, presidente di Assocalzaturifici e Confindustria Accessori Moda, è partito dall’aula del Senato dove il comparto moda, secondo per peso nazionale ma in difficoltà, ha presentato il piano strategico 2035.
Imprese e politica
L’iniziativa partita dal senatore Bergesio ha aperto le porte agli imprenditori per parlare di ‘Trasformare la moda Made in Italy per rafforzare la sua leadership mondiale’. Il modo di Confindustria moda conta di 400.000 addetti e più di 40.000 aziende per 90 miliardi di fatturato e ha in Luca Sburlati il presindete.
“L’obiettivo è costruire una filiera moda sostenibile, tecnologica e circolare, mantenendo la leadership mondiale del Made in Italy. Se non arriveranno misure adeguate, entro il 2030 il settore potrebbe registrare una perdita di 19 miliardi di fatturato, 35.000 posti di lavoro e 4.600 imprese”.
Le criticità
Sburlati e Ceolini ne hanno messe sul piatto diverse: la crisi di liquidità e la difficoltà di accesso al credito è al primo posto. Anche perché è quella su cui davvero il Governo può agire direttamente. A seguire, la concorrenza dell’ultra fast fashion, che mina il valore del Made in Italy; la pressione regolatoria europea e la mancanza di strumenti simmetrici di supporto; il ricambio generazionale e la formazione delle nuove professionalità. C’è poi un’altra criticità su cui la Meloni può provare a incidere: l’aumento dei costi energetici e logistici.
Le proposte
Confindustria Moda non si limita a indicare i problemi, nel documento ci son anche possibili soluzioni. Divise in sette capitoli per priorità. “Rifinanziamento di strumenti di liquidità e cassa integrazione; riduzione dei costi energetici per i comparti produttivi a monte; un Centro Tecnologico Nazionale per la Moda del Futuro; un polo dell’innovazione e del Made in Italy a Parigi”. E poi, leggi contro l’ultra fast fashion e un piano nazionale di comunicazione sul Made in Italy.
“Questo perché - ribadisce Sburlati - la moda non è solo estetica, è economia reale, è lavoro, è territorio, è industria”. Il messaggio è ormai un jingle: no assistenza, ma strategie. “Le nostre imprese sono un motore essenziale della moda italiana e un orgoglio per il Paese nel mondo”.
Il nodo filiera
In contemporanea, la Camera Nazionale della Moda Italiana (Cnmi) si muoveva alla Camera sulla questione della certificazione della filiera della moda. E lo faceva con una serie di proposte per emendamenti al disegno di legge già approvato dal Senato, che riguarda in particolare le piccole e medie imprese del settore. “emendamenti che seguono l’ascolto delle aziende, con l'obiettivo di rendere la certificazione uno strumento realmente utile, capace di assicurare trasparenza, tracciabilità e tutela lungo tutto il processo produttivo” spiega il presidente di CNMI, Carlo Capasa.
“Chiaro che la responsabilità deve essere legata alla trasparenza del processo certificato e non estesa a eventuali irregolarità di subfornitori non autorizzati. Con la certificazione, l'intero processo produttivo potrà infatti essere validato da soggetti terzi indipendenti, garantendo alle aziende un sistema di controllo trasparente e verificabile” ha concluso Capasa.
