MILANO/MONTE SAN PIETRANGELI - Fabrizio Grassi è l’amministratore delegato del calzaturificio Aldo Bruè di Monte San Pietrangeli. Dopo anni di assenza, il ritorno al Micam. Il motivo è frutto di una nuova strategia aziendale.
“Siamo tornati perché abbiamo fatto accordo con la Galmen di Montegranaro (l’azienda dei Melchiorri, ndr). Ci siamo uniti a loro. Una partnership che prevede per loro la licenza del marchio, mentre noi seguiamo la produzione e l’aspetto commerciale”.
Come mai Galmen?
“Un’azienda familiare con una chiara visione anche di rilancio per alcuni marchi marchigiani. E lo fanno bene, penso a Rocco P. Ribadisco, la produzione resta interna alla nostra azienda, questo perché Galmen è rispettosa dei singoli marchi e dello stile”.
Cosa prevede l’accordo?
“Loro ci aiutano nell’acquisto delle materie prime e poi ci dividiamo la parte commerciale, nel senso che noi manteniamo i nostri clienti e la struttura commerciale, ma lavorando in sinergia con i loro. Offriamo prodotti diversi, siamo complementari e questo sul mercato è importante”.
Si affronta così una fase complessa internazionale?
“Momento difficile, noi lo affrontiamo con due mosse: sinergia sugli acquisti, contaminazione di prodotto. Meglio è difficile fare”.
Unirsi è una necessità?
“Per noi era l’unica strada possibile. Bisogna ridurre i costi e allargare i mercati. Più ci uniamo mantenendo le caratteristiche e più si vive. Se ti appiattisci, il mercato non ti premia. Mantenere la propria peculiarità è fondamentale. Al Micam portiamo la prima collezione nata dall’accordo, vedremo il parere dei buyer”.
Ricadute occupazionali?
“Non in questa fase. Ora serve per sopravvivere e accrescere la relazione con il cliente. Il buyer vuole ridurre spostamenti e ricerche, noi gli mettiamo a disposizione ance uno showroom unitario. Chi entra trova Alexander Hotto, Prima base e ora anche Aldo Bruè. E i vantaggi già si vedono”.
Dove vende ancora Bruè?
“Purtroppo poco in Ucraina e non siamo i soli. Anche l’America ha le sue difficoltà. Sono tornati i tedeschi, ma sappiamo come soffre l’Europa che guarda un po’ troppo al prezzo. Russia, Uzbekistan e Kazakistan, anche se un po’ rallentano, restano una certezza. Per gli uzbeki sono scese le rimesse dei migranti e si sono fermate le costruzioni, con meno investimenti del governo c’è meno denaro da spendere”.
Cosa potete fare?
“La verità è che nulla è sotto il nostro controllo. Questo è il vero problema. Il dazio, per esempio, non è il problema, è il messaggio che deprime. Se ogni giorno hai notizie negative, perché comprare?”.
Grassi, cosa caratterizza oggi Aldo Bruè?
“Abbiamo ridotto modelli e collezione. Chi compra non cerca più la novità. I clienti vanno sul sicuro, la voglia di provare è diminuita. Quindi ci caratterizziamo su alcune linee e lavoriamo molto sui materiali e poi portiamo una esperienza sulla calzabilità. Stiamo selezionando sempre più i fornitori, molti chiudono, siamo sempre in ricerca di qualità e innovazione da inserire dentro linee tradizionali. Il tutto cercando di ridurre i costi”.
Si resiste producendo in Italia? “E’ un plus, ma è davvero complicato. Soprattutto sapendo di dover sfidare i turchi, che ormai costano come noi, e soprattutto i cinesi, che stanno imparando anche a selezionare materiali e macchinari. Il che li fa produrre sempre meglio, favoriti dai grandi marchi che hanno portato numeri di produzione e know how”.
Raffaele Vitali