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Il grande restauro del teatro dell'Aquila raccontato dalle foto di Grandoni: "Ha dato un volto agli invisibili che lavorano"

15 Dicembre 2025

FERMO - Un incredibile lavoro di ricostruzione storica. Le foto di Manilio Grandoni, raccolte nel libro ‘Storia di un restauro’, fanno scorrere davanti agli occhi dei lettori la storia del gioiello della città, di quello che negli anni  insieme con il mappamondo ne è diventato il simbolo: il teatro dell’Aquila.

“Il teatro è la casa di ogni fermano. Partendo dal 1997, quando i lavori di restauro, hanno poi permesso a tutti di vivere un luogo degno di una comunità che aspira al bello” introduce Ettore Fedeli, al tempo sindaco dell’avvio dei lavori.

“Manilio è riuscito a entrare nei cantieri, osservare e fotografare i lavoratori. Oggi vediamo quello che c’è dietro la bellezza che tutti vediamo. Nel libro c’è la storia di quello che c’è dietro un’opera pubblica, di ognuna. È la storia di scelte progettuali, di scelte economiche, di lavori che hanno permesso di renderlo unico. è la storia di  chi l’ha vissuto” prosegue Fedeli che con l’Unipop continua a lavorare sulla memoria, ridando a ogni persona il suo ruolo.

E Manilio Grandoni, con i suoi scatti, rende merito a chi si muoveva nell’ombra, sotto il palco, tra le volte del soffitto: ai lavoratori. L’8 marzo del 1997 è la data di rinascita, il giorno in cui il pubblico ha preso possesso del luogo. Da quel giorno la domanda è stata: come far lavorare al meglio la struttura? In tanti ci sono riusciti e di certo ci sta riuscendo Micol Lanzidei, oggi assessora alla cultura, allora 15enne curiosa nell’ammirare questo luogo recuperato.

“La memoria non è rimpianti, è portare la nostalgia più bella nel futuro e nella vita quotidiana del teatro” la chiosa di Fedeli. L’assessora Lanzidei lo ha ascoltato e ha rilanciato: “Non stiamo raccontando una storia fatta d’immagini, significa restituire respiro e voce  un luogo che è molto di più di un semplice tetro. Per Fermo e i fermani è l’anima, è il cuore che batte al centro della città da secoli. Che ha vissuto la storia, le attese, i ritorni, i silenzi e gli applausi. Questo libro fotografico  - prosegue l’assessora - è un atto di amore e di cura. La testimonianza visiva di uno dei momenti più complessi e delicati, e per questo straordinari, che il teatro ha vissuto: il suo restauro. Ogni immagine nasconde una rinascita, ogni dettaglio cela un gesto umano: la mano che dipinge, lo sguardo il metro che misura, un legno antico che rinasce o un velluto da proteggere. Un libro che racconta anche gli invisibili che hanno reso visibile il bello del simbolo della città”.

Un libro che fa sentire la polvere dei lavori e racconta la tenacia delle istituzioni che hanno voluto restituire il teatro all’antico splendore perché avevano una visione. “E oggi siamo uno dei teatri più importanti del centro Italia. Un teatro che ha 1200 abbonati, che arrivano anche dall’Umbria e dall’Abruzzo. Un teatro che è spettacolo, ma anche luogo di incontro, che accoglie generi e necessità, persone e allestimenti”.

Tenacia e bravura di Manilio Grandoni, che non ha lavorato su commissione, ma su sua scelta. “Non ha chiesto soldi, no si è fatto pagare, ha anche investito sulla pubblicazione del testo. Ha avuto il coraggio di fare e ora di ‘donare’ alla città” aggiunge Marco Rotunno, direttore del museo Miti di Fermo.

“vedete – ribadisce Rotunno - Manilio con la sua professionalità ha saputo cogliere il cambiamento e i momenti chiave della storia. Figlio d’arte, il padre era Attilio Grandoni, ha vissuto il passaggio dall’arte della pittura a quella della fotografia. Rispetto alle origini si è evoluto, si è formato fin da militare, per poi specializzarsi nello sport, senza mai perdere la passione del documentare”.

I fermani, durante il restauro, hanno atteso la riapertura. Opera di Cosimo Morelli, 1790, ma il lavoro è stato di centinaia di persone. Quel mondo, che non si conosce, Manilio lo ha fotografato nel grande restauro. Chiuso nel 1984, il teatro ha riaperto le porte nel 1997, le foto di Grandoni hanno seguito passo passo il recupero, documentando con pazienza, sospendendo il suo tempo e le sue capacità per lasciare agli archivi la storia” aggiunge.

“Fotografavo e riempivo scatoloni di immagini, non c’era il digitale. Quando sono andato in pensione, ho cominciato a scansionare l’archivio e lì è venuta l’idea di raccoglierle in un testo. Parliamo di 2mila scatti. Una singola immagine, digitalizzata con un piccolo scanner, necessitava di essere ripulita e poi ritoccata, per eliminare polveri e imperfezioni” spiega Grandoni. La svolta, con l’acquisto dello scanner che ha permesso di passare da sette minuti a foto a quattro secondi. “Ho creato un nuovo archivio, che poi ho ripreso in mano per scegliere gli scatti giusti”.

Il lavoro finale è davvero ben fatto. E dire che Grandoni non nasce fotografo. “Non avevo le capacità di mio padre. Avevo le mie idee, per cui mi trasferii a Sabaudia per fare il maître d’hotel in un cinque stelle. Sveglia alle 5, a dormire alle 8 e il tempo a imparare le lingue. Ero lì e mi arriva la cartolina per il militare e sono rientrato a Fermo. Durante l’addestramento mi chiamò un colonnello, aveva saputo che mi occupavo di fotografia, e mi ha spedito al distretto de L’Aquila. Da lì ho capito che la strada era giusta”.

Anche Fermo oggi ringrazia quel militare, altrimenti della storia di un gande restauro non resterebbero che poche parole e non scatti che mostrano anche la scoperta degl affreschi oggi ammirabili all'ingresso.

r.vit.

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