di Raffaele Vitali
MONTEGRANARO – Se c’è un allenatore che può parlare del ruolo dei giovani nella pallacanestro, è Stefano Pillastrini. Ne ha lanciati tanti, continua ad allenarli e a farli crescere grazie a progetti che durano nel tempo e prevedono la crescita. Lo fa in maglia Cividale del Friuli, l’ha fatto in passato a Montegranaro, Bologna, Reggio Emilia e Pesaro.
Giovani che con l’Under 20 dell’Italia hanno appena vinto l’oro agli Europei stupendo tutti. Ma non Pillastrini che il capitano, Ferrari, lo schiera regolarmente in campo in A2. “Trovo incredibile che mentre esaltiamo l’Under 20, i club chiedano il terzo straniero in A2, quando i nostri ragazzi non hanno spazio per giocare. La motivazione? Il costo troppo alto degli italiani e il miglioramento dello spettacolo. Ma tanti dei nostri ragazzi, rimasti nelle Minors, sarebbero costati un decimo di stranieri, molti mediocri, che giocano in Legadue”.
Secondo Pillastrini, invece, “basta vedere partite giovanili e di serie B per capire lo spettacolo che possono offrire gli italiani. Siamo la nazione in cui si retrocede con giocatori come Procida che non entra in campo o Fontecchio che gioca 15’ in squadre di metà classifica . Poi vanno all’estero, tra Eurolega e Nba. Spero solo che la Federazione non accetti queste richieste”.
Stefano Pillastrini, lei è uno che programma in un mondo che sta prendendo dal calcio il lato peggiore, quello degli esoneri frettolosi. Come ci riesce?
“Ho fatto scelte particolari nella mia carriera e da 20 anni lo faccio convintamente. Scelgo i progetti, forse solo a Reggio Emilia non è andata come speravo. Sono uno che è sceso di categoria, in serie B dopo aver allenato in Eurolega. Non mi sento in grado, magari non sono neppure capace, di allenare sull’improvvisazione. Non sono quello che entra nello spogliatoio con ‘stupidi’ discorsi motivazioni e crea fantasie che portano a reazioni emotive e non tecniche. Non è il mio modo di fare. Non ho mai cercato solo la vetrina”.
Ma per programmare bisogna lasciare la serie A?
“Più che altro devi trovare persone ‘illuminate’, chi crede nel percorso di crescita, chi sa tenere la pressione. A Cividale un anno fa ho perso nove partite su dieci, nessuno ha battuto ciglio, ci credevano. Di certo serve una società strutturata”.
Società strutturata, anche questo è un problema.
“Si pensa che prendere giocatori sia l’unica strada ma ci sono cose altamente performanti o decisive da costruire. Penso a chi comanda, chi mette le regole che poi tutti rispettano (il modello che Dalla Salda ha appena portato a Pesaro, ndr). Società con una idea del percorso da fare. Poi c’è tutto il resto, dallo staff medico al settore giovanile che garantisce gli allenamenti e fa superare gli infortuni, un’ottima logistica, perché se un americano ha la figlia con l’otite e non viene tranquillizzato lo hai perso”.
Come si costruisce un roster vincente?
“Servono i dieci giocatori migliori da mettere uno a fianco all’altro e non uno sopra all’altro. Meglio avere giocatori con meno curriculum e nome, ma avere la possibilità di metterli nelle migliori condizioni”.
C’è un problema di ‘conoscenza del basket’ italiano? Tutti guardano verso gli Usa?
“Se considero i giovani allenatori e dirigenti, la lacuna più grossa è che nascono come scout. Studiano con attenzione esagerata l’alto livello e si perdono il sommerso, dove ci sono giocatori sconosciuti e buoni. Ma soprattutto si sottovaluta l’importanza di mettere i giocatori nelle condizioni di dare il meglio, tenendo l’equilibrio tra quelli di livello e gli altri. perché se non tutti capiscono che lo scopo è vincere le partite insieme, chi gioca poco poi è scontento. O peggio, ti ritrovi con quelli che segnano tanto e sorridono anche se perdono. Bisogna lavorare sulla stessa parte. Una società strutturata lavora sull’obiettivo comune. Altrimenti nascono le squadre di mercenari”.
In A2 questo è più semplice?
“Forse un po’ più semplice. Ma serve la società che guarda con chiarezza a un fine. Se il management è il primo ad attaccare il coach e non cerca di risolvere i problemi, tutto frana. Troppo smesso i manager sottolineano i problemi, questo peggiora il clima”.
Italiani buoni in A2 ci sono. Nessuno arriva in Nazionale maggiore. Giusto così? Serve gente più esperta?
“Bisogna pescare sotto, in A c’è poco ma è chiaro che sarebbe bello che i giocatori giocassero più alto. Ta A2 e il top di A c’è una differenza abissale. Puoi mettere in nazionale uno della A2, ma difficilmente sarà impattante. Siamo una realtà in cui anche Fontecchio faceva fatica a giocare, poi all’Alba volava. Procida non entrava in una squadra retrocessa, o così Niang e oggi invece sono da Eurolega. Viviamo in un movimento che tende ad avere poca fiducia nelle potenzialità e poca fiducia nell’affidarsi a qualcosa che non è il curriculum. Bisogna guardare a quello che uno può fare”.
Nel passato si rischiava di più?
“Prima mettevi in campo i giocatori giovani anche per interesse, oggi non accade. Bisogna testarli un piano sopra. Un esempio è Fantinelli, carriera in A2, ma con potenziale di livello altissimo. Vent’anni fa qualcuno lo avrebbe lanciato, considerando che aveva un potenziale ancora più alto di Cinciarini e Luca Vitali, di cui però non ha l’ambizione professionale”.
L’A2 è un campionato divertente?
“Quest’anno è stato uno dei più belli di sempre. Sia per il livello, sia perché si è giocato a Pesaro, Bologna, Rimini, Rieti che rianima il cento Italia, Livorno. Piazze con tradizione e pubblico”.
Perché il basket non decolla mediaticamente nonostante la bellezza?
“Parliamo di cosa significhi decollare. Credo che siamo l’unica nazione europea che ha campionati di B2 con mille spettatori, la A2 con tanto pubblico. Chiaro che in Italia quando gioca la nazionale di pallavolo è diverso rispetto al basket, ma perché il volley è lo sport del Paese, ne siamo forti da sempre. Il basket è bello ovunque, il livello di competitività è talmente alto che poi non si vince per tanato tempo. L’Argentina ha vinto le Olimpiadi e oggi non si qualifica ai Mondiali. Viviamo in un mondo in cui la Lituania fatica. E poi valorizziamo il poco che abbiamo. Produciamo poco a livello di giocatori e i pochi che no abbiamo non li lanciamo. Farei regole che incentivano chi fa settore giovanile e fa giocare i giovani. Apriamo le porte, spalanchiamo al rinnovamento. Un problema ce l’abbiamo in Eurolega, non siamo performanti e poi la Nazionale stenta. Ecco, se questo è il senso, non decolliamo. Però a pubblico e passione siamo messi bene”.
Come si rimedia?
“Un tema è anche quello degli impianti, i nostri rispetto all’Europa sono vecchi, fuori tempo”.
Pillastrini, sa che finalmente è partito il cantiere del palasport a Montegranaro. Un consiglio per riportare la Sutor dove merita?
“Mettersi insieme, in primis gli imprenditori. Chi può deve farlo e affidarsi a professionisti seri. Questa deve essere la base. Perché la società va vissuta come l’impresa: programmare e affidarsi a dirigenti veri che vanno fatti lavorare. Se si va solo con azioni emotive, che accade spesso, come nell’ultima parte della triade, è difficile costruire. Importante è essere capaci di andare contro i risultati, per fare due passi avanti bisogna andare indietro. Chiaro che il palazzetto sarà una spinta enorme, ma non può rimanere una cattedrale nel deserto. Tradizione potenzialità ci sono, legate a una forza economica non comune, possono portare a grandi risultati. Senza vivere schiavi del passato”.
I giovani sono la sua passione, c’è qualche Pilla boy in questo campionato che può esplodere. Anche non di Cividale?
“Siamo al momento chiave, il passaggio tra il giovanile e diventare un giocatore di alto livello. E questo in Italia si gestisce male. Abbiamo 10-12 giocatori che possono competere per una Nazionale del futuro, i prossimi 3-4 anni saranno decisivi”. (foto da Cividale.com)