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I colori della pace per il funerale di don Franco Monterubbianesi. Don Ciotti: "Hai unito terra e cielo"

29 Maggio 2025

di Raffaele VItali

FERMO – “Ciao don Franco. Mi telefonava ultimamente con sempre più visioni e più progetti. Don Franco ha unito la terra con il cielo”. A parlare è don Ciotti, quello che si direbbe il super ospite ma che in realtà era un amico vero di don Franco Monterubbianesi “il prete che amava il vangelo senza mai dimenticare la costituzione e quindi i diritti umani. Ciao don Franco, dì al padre eterno di darci una bella pedata per scuoterci”

Bandierine della pace, il sudario che ricorda la tragedia di Gaza, una semplice scritta: ‘Ciao don Franco. Pace’. I colori dell’arcobaleno riempiono il duomo di Fermo, tanto quanto le persone. La bara è semplice, posizionata a terra, come per Papa Francesco, non ci sono fiori fino a quando non li portano dei semplici cittadini.

Il funerale di don Franco Monterubbianesi ha gli onori che merita un uomo che aveva dei punti programmatici chiari: “Rispetto della persona in qualsiasi condizione si trovi; comunità come lugo di vita; progetti per rispondere ai bisogni che il territorio manifesta”. Li ricorda don Vinicio Albanesi, il compagno di ventura di don Franco. A lui l’arcivescovo Rocco Pennacchio lascia la parola a inizio messa, un modo per entrare subito in sintonia con quella bara che custodisce il corpo ma di certo non può fermare il pensiero e l’idealità del prete degli ultimi.

Don Vinicio ripercorre le tappe della vita di don Franco, il fondatore della comunità di Capodarco, che lui oggi dirige con piglio manageriale e spesso ricorda che “don Franco faceva tutto senza soldi”. Un bene, ma anche un limite che però ala fine superava, vuoi per la bravura di chi gli era vicino, vuoi per la capacità di convincere gli altri della bontà delle azioni. Valeva per gli imprenditori, valeva ancora di più per i politici.

Ce ne sono tanti di rappresentati istituzionali in chiesa, chi in prima fila, chi in mezzo, chi in fondo, ognuno con il suo ricordo di don Franco, l’uomo che ha trasformato una villa abbandonata a Capodarco in qualcosa di unico, nel primo posto in cui chi non aveva futuro non ha solo ritrovato dignità, ma si è costruito una vita.

“E’ qui che si sono celebrati i primi matrimoni tra disabili, qui dove sono nati i figli delle prime coppie, qui dove la resurrezione, che don Franco amava come pochi altri, aveva compimento” riprende don Vinicio. Dalla piccola frazione di Fermo il suo progetto si è espanso, toccando mezza Italia e raggiungendo perfino Paesi esteri. “I poveri aiutano i poveri era un altro suo slogan” ribadisce monsignor Albanesi. Che forse anche per questo ha goduto di ‘meno simpatia’ del co-fondatore, ma senza la sua abilità anche finanziaria probabilmente molti dei sogni sarebbero rimasti tali.

“E’ a don Franco che dobbiamo il superamento del pietismo. È lui che con il suo ‘accogli chi ha bisogno’ ha cambiato il modo di approcciarsi ai problemi, anche dei tossicodipendenti”. E non a caso è arrivato  a Fermo don Ciotti, fondatore del Gruppo Abele, un altro che la sua vita l’ha dedicata al recupero di chi ha preso la strada sbagliata, con ancor più impegno se giovane.

Se don Ciotti ha reso possibile la seconda chance per chi usava o abusava di droghe, don Franco ha abbattuto fisicamente le barriere che limitavano la vita dei disabili. È anche merito suo se sono arrivate le leggi che oggi permettono a tutti di andare al cinema o di prendere un treno. “L’attenzione ai giovani era spasmodica. È stato il primo ad accogliere il servizio civile in Italia. Era un profeta, un missionario al limite dell’incoscienza” ribadisce don Vinicio che strappa un sorriso a tutti quando ricorda che don Franco ha ampliato la comunità di Capodarco senza una sola autorizzazione tecnica del Comune.

A don Franco don Vinicio deve tanto: “Se oggi c’è chi ha dignità e servizi lo dobbiamo a don Franco, ricordiamolo” conclude Albanesi tra gli applausi prima che l’arcivescovo Rocco Pennacchio, durante l’omelia, sottolinei altri aspetti del prete che di fatto aveva una vera casa, muovendosi tra Fermo, Roma, Servigliano, suo pallino da oltre un decennio, e le altre basi della comunità.

“Coinvolgere le persone, privilegiare la vita di comunità, essere instancabile nel dedicarsi alla parola e quasi preferire più i pagani che i vicini ‘già assicurati’: questo era don Franco” esordisce Pennacchio. “Un prete che mi ha ricordato papa Francesco per il suo approccio alla fede. Per questo gli vogliamo dire grazie, per la sua tenacia, visione del mondo e del futuro, per la capacità di nona vere paura e continuare a parlare e a non tacere. E parlava, ma soprattutto scriveva, tanto”.

Di Monterubbianesi, Pennacchio porta con sé un insegnamento: “Ci è di insegnamento rispetto a una fede che tende a scontrarsi con la tentazione dell’intimismo e dell’individualismo. Lui ha testimoniato che una prospettiva diversa è possibile. Avrei voluto affidargli i giovani preti, gli avevo promesso che sarebbero andati da lui per lunghe chiacchierate, perché spesso si esce da un seminario con una visione non vera, con una realtà che pensiamo di dover piegare alle nostre visione e invece dobbiamo sempre stare con i piedi per terra”.

Ascolta il duomo gremito, dove ci sono i suoi figli, gli abitanti della comunità di Capodarco, la sua colonna Ilaria Signoriello e tanti altri, politici e volontari, che hanno condiviso il suo percorso. “Era un idealista, un visionario, ma se non abbiamo una visione e non teniamo desto un ideale tutto diventa praticume, attività e martalismo, come diceva papa Francesco. Grazie don Franco” la conclusione di monsignor Pennacchio.

Raffaele Vitali - via Leopardi 10 - 61121 Pesaro (PU) - Cod.Fisc VTLRFL77B02L500Y - Testata giornalistica, aut. Trib.Fermo n.04/2010 del 05/08/2010
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