Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors

“I am your man”. Cook, il Vate Bianchini e l’incontro che ha cambiato il basket di Pesaro

31 Luglio 2025

“Questa è la mia seconda città. Ogni volta che torno è qualcosa di incredibile, sono meravigliato. Del resto  I got two”. Si presenta così Darwin Cook, accolto da una grande folla che il Resto del Carlino di Pesaro ha riunito davanti alla palla di Pomodoro. La festa del giornale, che taglia i 140 anni di vita, diventa un romantico momento di amarcord, fortemente voluto dal caposervizio Roberto Fiaccarini, con protagonisti amati in città.

Certo, ha ragione Walter Scavolini, che di parole ne ha dette una decina in tutta la sera, ma molto chiare: “Sono passati 35 anni dallo scudetto, vorrei fosse qualcosa più recente”. Nel 1990 è arrivato il secondo scudetto, due anni prima il trionfo, inimmaginabile per quel periodo: “E il primo è stato merito di Bianchini. E anche del signor Scavolini” ammette il play americano che il Carlino ha riportato in Italia per qualche ora.

Cosa ha fatto Bianchini di speciale? La storia, raccontata direttamente dl Vate, è sempre speciale, “una favola vera” sottolinea Elisabetta ferri, da trent’anni la firma del basket pesarese. “Ricordo bene il momento in cui ho avuto Cook davanti. Ero volato, mentre la Scavolini scendeva in campo guidata dal mio assistente Sergio Scariolo (sarà il coach del secondo scudetto, ndr) a La Crosse, nell’Illinois”.

Un luogo sperduto in cui Darwin stava giocando in attesa di una nuova chiamata della Nba. “A dire il vero – prosegue il Vate - ogni estate andavo alla Summer League di Los Angeles, ma andavo in quella parallela, in un quartiere malfamato di Los Angeles dove rischiavo ogni sera. Ma volevo vedere giocare solo Cook e ogni anno lo vedevo migliorare, mi piaceva. Era fisico e tecnico, capiva il basket. Quando ho saputo che era stato tagliato dalla Nba e giocava in Cba, in attesa di un ingaggio, mi sono precipitato. E gli ho chiesto se voleva venire in Italia, ma dovevo sostituire Petrovic, ottimo giocatore, ma di attacco. A me serviva un’altra figura”.

Bianchini era pronto a sacrificare Petrovic, uno con medie incredibili. “Il problema – riprende l’allenatore – è che Pesaro non era pronta a farlo. Ho forzato  la mano, sono partito e sono arrivato a La Crosse. Quella sera, però, il vero show non lo fece Cook, ma Sugar Ray Richardson, un giocatore incredibile che era parcheggiato lì per contare una piccola squalifica. Pochi anni dopo sarà la stella della Virtus Bologna. Mentre giocavano, mi arriva il risultato della Scavolini, vittoria e 42 punti di Petrovic. Vado a cena, aspetto Cook e intanto penso a come dirgli che non mi serviva più”.

Troppo alto il rischio di un cambio in corsa, con Aza Petrovic così in forma. “Ma quando si è seduto davanti a me, mi ha guardato fisso negli occhi e ho visto una luce speciale, poi mi prende il braccio e mi dice ‘I am your man’. E lì mi sono sciolto. Ho capito che per molti giocatori non devi guardare le statistiche, devi guardarli negli occhi. Lui voleva giocare per me. Siamo Saliti insieme in aereo, classe turistica, è arrivato rattrappito a Roma e poi a Pesaro”.

Quello non fu il solo cambio, perché poche settimane dopo si infortuna Ballard, il secondo Usa, e Bianchini pesca Darren Daye. È l’inizio della squadra del mito, quella che poi vincerà due scudetti. “Ho rischiato, ma sapevo he Scavolini era un presidente che aveva grande rispetto per i collaboratori e per le decisioni del coach”. E così è stato: “Avevo una grande fiducia in Valerio, del resto avevo fatto tanto per portarlo a Pesaro” chiosa l’uomo che per tre decenni ha fatto sognare una città sponsorizzando la squadra.

Un gruppo che si è ri-plasmato attorno al suo play, uno che i primi allenamenti riempiva di pallonate Ario Costa, al tempo miglior pivot del campionato, perché capire i suoi passaggi era davvero difficile. Ridono mentre si raccontano gli aneddoti i due giocatori, tra l’oro è rimasta una ver amicizia, come con Magnifico e Gracis, gli altri perni del quintetto “ e Zampolini, che si alzava dalla panchina e colpiva da tre punti” ricorda a tutti Cook.

Costa lo ascolta, ormai è un dirigente affermato e non ha mai avuto la verve dialettica di Cook, ma in campo era il partner perfetto peer il l’esuberante play: “Eravamo sicuri noi italiani che il lavoro di Bianchini fosse giusto. Eravamo gasati nell’aspettare i nuovi giocatori. Ci è dispiaciuto per Ballard e Aza, che con noi è stato fantastico. Poi è arrivato Cook, con personalità a livello stratosferico e abbiamo dimenticato in fretta Petrovic”.

Un leader che aveva un solo obiettivo, vincere e cambiare la storia da troppo tempo dominata da Varese e Milano. E proprio Varese in semifinale vide Cook protagonista di un ‘giallo’, il piede che esce dal campo e che l’arbitro non ha visto a pochi secondi dalla fine della partita vinta da Pesaro. “Si, il piede era fuori, ma – conclude Cook – l’arbitro guardava la palla. E in ogni caso, anche se avesse fischiato, io avrei rubato il pallone un attimo dopo. Dove è il problema”.

Applauso, risate e la consapevolezza che il destino era già scritto. “Noi davamo tuto, poi c’erano i tifosi, unici e caldi. Grazie davvero Pesaro, sarai sempre parte della mia famiglia”. Finisce così la parte cestistica della festa del Carlino, che ha regalato un cameo anche a Riminucci, l’angelo biondo, quello che Franco Bertini, un altro che la palla dentro la retina la metteva, definisce “il più forte di tutti, il modello, l’esempio per generazioni. Anche il prete aspettava a iniziare la messa delle 12 se c’era ancora in corso la sua partita”. È la Pesaro che fu, quella che, ha ragione Scavolini, è tropo lontana nel tempo e che è ora di aggiornare.

Raffaele Vitali

Raffaele Vitali - via Leopardi 10 - 61121 Pesaro (PU) - Cod.Fisc VTLRFL77B02L500Y - Testata giornalistica, aut. Trib.Fermo n.04/2010 del 05/08/2010
linkedin facebook pinterest youtube rss twitter instagram facebook-blank rss-blank linkedin-blank pinterest youtube twitter instagram