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Deportata da Fermo, uccisa a Birkenau. La storia di Giuliana conquista i giovani:"Mi strapparono dalle braccia di mia madre. La colpa? Era ebrea".

9 Ottobre 2023

FERMO – “La storia, con la sua drammaticità e cinismo, ci fa rivivere momenti  che vorremmo seppelliti. Tropo spesso non apprendiamo dagli errori del passato. Per questo non voglio commemorazioni astratte, ma che possano insegnare”. E così, dietro quella grande targa di marma apposta in via Perpenti, il sindaco Paolo Calcinaro, vuole che ci sia il racconto, la conoscenza, l’esempio di una donna che è stata segnata da una grande tragedia, la deportazione della madre da parte dei nazifascisti quando lei aveva solo quattro anni.

Protagonista è Giuliana Vannini, 84enne elegante signora che vive a Bologna ma si trovava a Fermo quando l’8 ottobre del 1943 “due uomini vestiti di nero entrare e portarono via mia mamma (Grete Schattner), che stava dormendo con e me nel letto”. Aveva una sola ‘colpa’: essere ebrea. Prelevata, dopo mesi a Servigliano, il trasferimento a Fossoli che ha lasciato il 16 maggio direzione Birkenau dove il 23 maggio è stata gassata.

Francesco Trasatti, presidente del consiglio comunale, parte da una domanda: Come si possono trovare parole giuste, come ripetere concetti semplici ma fondamentali che invece chiari no sono? “Il rispetto dell’altro, delle differenze, la pace, no come parola esterna ma come rapporto quotidiano con l’altro, devono essere la nostra base di partenza. Non serve originalità, serve ribadire con forza i concetti. E farlo non considerando tutto come qualcosa di lontano. Oggi inauguriamo una targa a due passi da una scuola, nel centro della città. Questo è il richiamo che tutto può succedere e tutto può succedere vino a noi. Non è una guerra a migliaia di chilometri, il rispetto dell’altro inizia con il vicino di casa”.

La politica svolge così uno dei suoi compiti, quello di rendere vivi gli spazi del ricordo. Come fa dall’inizio del suo mandato Marco Rotoni, sindaco di Servigliano, il paese dove si trova la casa della Memoria e dove in questi terribili anni troppe persone fecero tappa prima di salire sui treni che portavano i deportati nei capi di concentramento nazisti. Paese però che seppe anche reagire, con i cittadini che salvarono diecine di ebrei dalla furia nazifascista. Rotoni, insieme con Giordano Viozzi e gli altri membri della Casa della Memoria investe tempo e risorse per rendere la memoria sempre più viva e interattiva.

L’incontro con Giuliana Vannini parte dal libro scritto insieme con Paolo Giunta La Spada, storico, in cui la Vannini “dopo 80 anni ha deciso di raccontarsi, di far sapere a tutti cosa accadde quella notte, come segnò la sua vita”.

Parole toccanti che ancora fanno emozionare La Spada. “Al di la delle mie lacrime, la testimonianza di Giuliana era pesantissima. Lei mi ha fato un omaggio, quello del racconto della sua vita e di sua madre. Potevo tenermela per me? Ho scelto di condividere il peso. E dopo un paio di anni di confidenze  storie, incrociandole con le ricerche di archivio, per trovare la verifica documentale di quello che lei mi testimoniava, mi sono reso conto che la vita cmi aveva affidato il compito di testimoniare, di rendere pubblica il suo racconto. Ho cercato con il libro di farvi essere in quella strada dove le finestre erano socchiuse e quindi tutti vedevano e sentivano”.

In sala, grazie all’impegno del Tavolo della Legalità, ci sono gli alunni della Betti, collegati quelli degli altri Isc fermani. Tutti vogliono sapere, sono attenti, hanno studiato. Chi ha letto il libro, chi ha pensato a frasi adatte, chi recita in coppia un dialogo sul tema dell’altro. “Il problema no sono i confini, ma l’incontro con gli altri che è una esperienza universale  fondamentale del genere umano. Chi è il nuovo altro, come parleremo, in quale lingua?” si chiedono i ragazzi.

Che poi si immergono nelle pagine del libro. “8 ottobre 1943, Fermo, ore 5, via Perpenti. Un bel palazzo signorile. La casa è la primo piano, c’è la stanza di Giuliana che dorme abbracciata alla sua mamma” riassumo gli alunni della Betti. “Ricordo solo una cosa, due uomini vestiti di nero che portano via mia madre. Da lì, il nulla” ribadisce lei. Che poi in realtà tanto ha detto a La Spada.

Per decenni di quel giorno non ne ha più parlato, né lei né il padre, che quel giorno era in India, incarcerato. Tornerà nel 1495, quando Giuliana aveva sei anni e di cui non sapeva nulla. “Piangeva sempre, da solo o guardando la foto” che poi è diventata la copertina del libro.

Giuliana Vannini parla con voce calma, è rassicurante, anche per questo ‘funziona’ con i ragazzi: “Ragazzi – prosegue la protagonista – dovete restare liberi, sempre. Non fatevi influenzare troppo. Le storie purtroppo tornano, spero che questo libro aiuti a non dimenticare e a conoscere. Bisogna sempre tenere gli occhi aperti”.

La storia insegna che un nemico lo si trova sempre: “E’ utile alla politica, molto spesso. Pensiamo a questa incredibile ipotesi di far pagare per poter stare in un centro di accoglienza. Dobbiamo lavorare tutti insieme contro ogni forma di razzismo ideologico”.

Un compito che Servigliano si è data da tempo. Ed è da una visita al campo di internamento che è nato il rapporto con Viozzi e poi La Spada. Il primo impatto a dire il vero non fu felicissimo “perché – racconta Giuliana Vannini - mi suggerirono di parlare, sono passati trent’anni, con uno che veniva definito lo ‘storico’ del paese e che poi ho scoperto essere stato una delle guardie del campo. Voi capite l’impatto emotivo per me. Ma la seconda volta, pochi anni fa, Viozzi ha saputo avvicinarmi, farmi capire che c’era davvero un interesse per la storia, per il recupero della memoria di un certo tipo. Così, incontro dopo incontro nella mia Bologna, è nata l’idea del libro con Paolo, che per me è stato quasi un terapeuta. Gli ho raccontato tutto quello che mi ricordavo”

Il silenzio in sala conferma che ha fatto centro e che, come ricorda a tutti Alessandra Mancini del tavolo della Legalità, “pace non è solo assenza di guerra, è una condizione interna che riguarda ogni luogo, che sia la famiglia o la scuola, la città o la politica”.

@raffaelevitali

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