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Calzaturiero, l'economista Temperini: nuovi mercati, India e Nigeria, e innovazione. Serve l'export manager di rete

16 Ottobre 2025

di Raffaele Vitali

MONTEGRANARO – I primi sei mesi dell’anno del settore calzaturiero marchigiano si sono chiusi con un -9% di export rispetto al  2024, che diventa -7,7 sul 2019, ovvero il non idilliaco periodo pre pandemico. I roboanti 2022 e 2023 sono ormai storia passata.

Valerio Temperini, professore associato di Economia e Gestione delle Imprese all’università Politecnica delle Marche, come legge i dati?

“Che le previsioni sono state confermate. Da tempo vedevamo dei segnali di crisi in alcuni mercati chiave e quindi l’idea che ci eravamo fatti, come economisti, è diventata realtà”.

Una soluzione a freddo?

“La diversificazione del mercato. Esplorare e attaccare nuove aree. Alcune imprese hanno esplorato in anticipo e oggi sono solide, ma sono poche e soprattutto devono consolidarsi in certe aree”.

Guardando i numeri,  il distretto fermano maceratese è ‘Europa addicted’.

“Un export fortemente concentrato su Unione Europea e Stati Uniti. Sia chiaro, questo vale anche per altri settori dell’export marchigiano. È evidente che facciamo fatica a raggiungere i mercati più distanti. Dall’India al sud est asiatico. Ma guardo anche all’Africa, dove ci sono persone che crescono dal punto di vista economico e vogliono acquistare prodotti che arrivano dall’estero”.

C’è qualche Paese che l’ha stupita?

“Il dato della Polonia, se guardiamo agli emergenti è interessante: vale 21 milioni ed è in crescita del 40%. È un buon mercato di sbocco per tante produzioni. Al di là di questo, però, è importante allontanarsi”.

I mercati più lontani come si affrontano?

“Significa investire tanto. Conoscere la cultura, che è diversa dalla nostra, e di conseguenza capire anche il tipo di prodotto che va adeguato alla promozione. Bisogna sforzarsi per ottenere fiducia e spazi a livello di intermediari locali”.

Quanto conta il prezzo?

“Il calo del valore delle paia va approfondito. La Russia è un mercato quasi chiuso, negli Usa con i dazi per essere competitivo devo abbassare il prezzo. Quando entriamo su nuovi mercati, il prezzo deve essere competitivo. Il margine deve ridursi. Quindi servono azioni e strategie delle imprese sul fattore prezzo per essere appetibili”.

Le aziende del distretto sono medio piccole, come possono permettersi di aggredire mercati lontani?

“Servono supporti reali, anche da parte del pubblico. Soprattutto all’inizio con l’accompagnamento che deve essere forte e quadrato. Penso a desk e servizi sui mercati, con presenza fisica del pubblico. Il quadro economico richiede di aggregarsi, andare insieme sul mercato e condividere spese comuni, superando la competizione. È difficile, lo so, ma aziende che hanno prodotti complementari possono cominciare a fare progetti comuni ed essere più incisivi”.

I risultati?

“L’internazionalizzazione è un processo lungo: tempo, sforzo economico, competenze, se non sei organizzato diventa insostenibile. Non basta il ‘vado a una fiera e conquisto un mercato’. Bisogna mettersi in testa che nei mercati distanti servono fatica e risorse economiche. Da soli oggi è molto difficile”.

I dati di Assocalzaturifici evidenziano che l’import cresce del 9,6%. Il motivo?

“C’è il tema della riorganizzazione delle filiere a seguito del Covid con parte della produzione che è tornata in Italia e questo significa magari un acquisto maggiore di parti. E poi c’è il valore del mercato di consumo. La concorrenza internazionale è aumentata”.

Temperini, non è rischioso puntare sul prezzo per sopravvivere?

“In tempo di crisi, i clienti frenano. Soprattutto non è più una questione che interessa solo la fascia bassa, anche quella medio alta comincia a guardare i costi di una scarpa. Quindi bisogna studiare le filiere globali e agire”.

Difficile essere competitivi sul prezzo, su cosa possono puntare i calzaturieri marchigiani?

“La variabile prezzo è la prima cosa da cui scappare. La price competition è fortissima. Se gli aumenti delle materie prime non ricadono sui margini, il consumatore abbandona. Questo significa che bisogna rendere le aziende più efficienti, puntando su tecnologia e innovazione. La leva è quindi conquistare una posizione sul mercato con un prezzo adeguato. Capendo che se alcuni mercati no ti comprano più, bisogna cambiare”.

La qualità?

“La darei per scontata. Il made in Italy dà ancora valore aggiunto, ma non è sufficiente”.

Cosa manca o cosa è necessario per essere competitivi?

“Ad esempio bisogna essere innovativi nelle modalità di vendita. Essere presenti nelle piattaforme digitali. Bisogna presidiare i mercati nelle varie forme e modalità. Multicanalità e omnicanalità, studiare una comunicazione online e offline. Ricordando che sono differenti”.

Professor Temperini, ci sono punti deboli su cui i calzaturieri possono agire?

“Un problema strutturale, che dobbiamo sottolineare spesso, è il ricambio generazionale. Un tempo riguardava l’imprenditore, oggi riguarda gli addetti. Si fa fatica a trovare personale. Inclusi export manager per le Marche. Siamo una regione con  una marcata decrescita demografica, i giovani sono di meno. Il calzaturiero è tra i settori con l’appeal più basso tra i giovani”.

Risultato?

“Che se fai fatica a trovare personale, delocalizzazione e decentramento diventano alternative realistiche. Poi un conto è un brand di consumo, un altro il calzaturificio meno conosciuto che lavora nel b2b o nelal filiera. Più sei piccolo e più è complicato inserire ragazzi”.

Un suggerimento?

“Punterei sull’export manager di rete”.

Temperini, se dovesse scommettere un euro su un mercato utile per il distretto?

“L’india come mercato di sbocco e la Nigeria, che ha un segmento di lusso locale in crescita. Poi gli Emirati Arabi, ma solo per fasce alte e abbinandosi ad altri settori. La fiducia conquistata. Resta il fatto che l’India è la vera alternativa alla Cina. Sono di due grandi ricchi, uno ha l’hardware, loro il software”.

Dubai?

“Prima che ti posizioni, è lunga. Qui un consiglio lo do: prima di sbarcare a Dubai, almeno aprire un monomarca o un punto vendita a Milano, possibilmente nel quadrilatero. Questo vale più di tanta promozione, è un punto di forza, un vero biglietto da visita. Se non hai questo, prima di conquistare una posizione ce ne vuole”.

Guardando al mondo?

“Il Giappone ancora cerca più la qualità del brand, ma ha i suoi problemi. Negli Stati Uniti il brand conta, seguono la moda”.

Secondo lei tra Russia e Ucraina finisce la guerra, il mercato riparte?

“Ci vorrà del tempo, pensando anche alle sanzioni. Per quello che ho potuto notare nel tempo, il fatto che comprare in Italia è più complicato, ha permesso ad altri mercati di affermarsi. Dalla Turchia all’India, riconquistare gli spazi è difficile. La concorrenza a livello di produzione si è alzata. E anche la differenza sulla qualità comincia a essere meno importante, mentre sul prezzo cresce”.

E quindi?

“Il Made in Italy è un prestigio, ma ci sono altri valori che dobbiamo trasmettere”.

Magari la filiera?

“Se ne parla tanto. Chi guida la locomotiva ha delle responsabilità, ma poi serve sempre un controllore, chi certifica. E invece troppo spesso mancano i controlli, che sono una garanzia per tutti”.

Raffaele Vitali - via Leopardi 10 - 61121 Pesaro (PU) - Cod.Fisc VTLRFL77B02L500Y - Testata giornalistica, aut. Trib.Fermo n.04/2010 del 05/08/2010
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