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Allevi commuove dal palco di Sanremo: "Io sono quel che sono. Suono il domani, ci attende sempre un giorno più bello"

7 Febbraio 2024

ASCOLI PICENO /SAN REMO - “Non potendo contare sul mio corpo, suonerò con tutta l’anima”. Giovanni Allevi sale sul palco dell’Ariston, dopo due anni è di nuovo davanti al pubblico il suo amato pianoforte per far ascoltare a tutti ‘Tomorrow’, “perché domani deve attenderci sempre un giorno più bello”.

Amadeus lo ha voluto, gli ha lasciato la porta aperta peer mesi, gli ha dato una speranza. “Equilibrio tra luce e buio, uno che sa incantare ed emozionarsi quando è luce. Poi c’è il buio, la malattia che gli ha fatto mettere la musica in pausa per curare se stesso. Un percorso lungo che oggi lo riporta a Sanremo, nella luce” sottolinea il direttore del Festival.

Il maestro si presenta con un cappello, il motivo è semplice: “La malattia si è presa anche i miei capelli” ammette con il suo inconfondibile tono di voce. “All’improvviso mi è crollato tutto. Non suono più il pianoforte davanti a un pubblico da quasi due anni. Nel mio ultimo concerto, a Vienna, il dolore alla schiena era così forte che sull’applauso finale non riuscivo ad alzarmi dallo sgabello” racconta Allevi con la voce tremolante.

“Non sapevo ancora di essere malato. Poi la diagnosi, pesantissima. Ho guardato il soffitto con la sensazione di avere la febbre a 39 per un anno consecutivo. Ho perso molto: il mio lavoro, i miei capelli, le mie certezze, ma non la speranza e la voglia di immaginare”.

E poi il dolore gli ha presentato dei doni, inaspettati. “Durante un concerto ho notato una poltrona vuota nel teatro pieno. Mi sono sentito mancare. Eppure, quando ero agli inizi per molto tempo ho fatto concerti davanti a 20 persone ed ero felicissimo. Oggi, dopo la malattia non so cosa darei per suonare davanti a 15 persone. I numeri non contano, sembra paradossale detto da questo palco. Ogni individuo, ognuno di noi è unico e irripetibile  a suo modo infinito” aggiunge convinto.

Un altro dono: “La gratitudine nei confronti della bellezza del creato. Non si contano le albe e i tramonti che ho ammirato dalle stanze dell’ospedale. Il rosso dell’alba è diverso dal tramonto” e sorride. Terzo dono, la gratitudine e la riconoscenza per il talento dei medici, degli infermieri, del personale ospedaliero. “La riconoscenza per la ricerca scientifica, senza la quale non sarei qui. E per il sostengo della mia famiglia e per la forza e l’affetto e l’esempio che ricevo dagli altri pazienti. I guerrieri, li chiamo. E lo sono anche i loro familiari, i genitori”.

Si ferma un attimo, le lacrime gli scendono dal viso pensando ai piccoli guerrieri che ha conosciuto e per cui chiede un applauso. Ma c’è, un ultimo dono: “Quando tutto crolla e resta in piedi solo l’essenziale, il giudizio che riceviamo dall’esterno non conta più. Io sono quel che sono, noi siamo quel che siamo. Come dice Kant, il cielo stellato può continuare a volteggiare nelle sue orbite perfette, posso essere immerso nel mutamento, ma sento che in me c’è qualcosa che permane. Ed è ragionevole pensare che permarrà, in eterno. Io sono quel che sono, se le cose stanno davvero così, cosa mai sarà il giudizio dall’esterno. È liberatorio essere se stessi” conclude prima di sedersi al pianoforte “per suonare una canzone che dà forza a chi lotta contro la sofferenza”.

Si chiude così, con un lungo applauso, il ritorno di Allevi davanti a quel pubblico che ha già reso sold put la sua tournée in partenza nei teatri italiani.

Raffaele Vitali

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