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15 anni di smart working. Il mondo di Pirro: "Non si improvvisa. Grande potenziale, ma il rapporto umano è decisivo"

12 Marzo 2020

Lavorare un giorno da casa non è smart working e che lavorare da remoto (caso o altri luoghi) è solo una parte di un processo più ampio.

di Chiara Fermani

Alcuni lo conoscono già, altri lo praticano da tempo, ma molti hanno sentito parlare di smart working solo in questi giorni. Giorni in cui l'emergenza Covid-19 ha costretto molte aziende a chiudere i propri uffici, mettendo in pratica, dove possibile, il cosiddetto smart working o lavoro agile. Chiariamo subito che lavorare un giorno da casa non è smart working e che lavorare da remoto (caso o altri luoghi) è solo una parte di un processo più ampio. Ne parliamo con la dottoressa Maria Pia Pirro, da anni alla guida della “Future Consulting”, l'azienda con sede a Montecassiano, che si occupa di formazione, consulenza e comunicazione per le piccole medie imprese che vogliono dare uno sprint e diversificare il proprio business e accreditata come Ente Formativo autorizzato presso la Regione Marche.

Dottoressa Pirro, partiamo subito da una definizione di smart working.

“Si tratta di un nuovo approccio al nostro modo di lavorare. Da donna e da mamma, ho sempre pensato, già 15 anni fa, che questo potesse essere un valore aggiunto, soprattutto per noi, ma anche per altre categorie, ad esempio i disabili, che magari hanno problemi a spostarsi, ma sono perfettamente in grado di fare certi tipi di lavoro. Ovviamente si tratta di una modalità che non si può applicare ad ogni tipo di attività, qualora ci fossero i presupposti, i vantaggi sarebbero molti”.

Quali i più importanti?

“Si tratta di un lavoro per obiettivi, quindi sempre un lavoro in team, ma autonomo per quanto riguarda l'ottimizzazione dei tempi e gli spazi in cui questo può essere svolto, quindi anche da casa. Questo garantisce, oltre ad una maggiore produttività, un vantaggio in termini di sostenibilità ambientale e di stress: lascio a casa la macchina, non inquino, evito il rischio di incidenti e evito lo stress di ore ed ore in mezzo al traffico. Per far sì che avvenga questo però, bisogna che questa filosofia sia condivisa sia dall'imprenditore che dal dipendente, per questo è importante fare un lavoro preliminare che è quello della pianificazione. Anche perché la persona che lavora a casa, bisogna capire come lavora. Puoi stare ovunque, ma devono esserci le condizioni per lavorare al meglio e questo crea anche un rapporto di fiducia con l'imprenditore”.

C'è una parte del lavoro che invece può risentire della mancanza di “fisicità” per così dire?

“Il rapporto umano è fondamentale. Il problema dell'isolamento della persona potrebbe essere uno svantaggio, per questo bisogna fare in modo che quel lavoratore non sia solo un soggetto che sta a casa, ma un soggetto che sta dentro l'azienda e condivide con essa qualsiasi cosa. Ecco perché c'è bisogno di un imprenditore che scelga lo smart working e di un dipendente che lo accetti. Poi è ovvio che non può essere tutto al 100% smart working, ci deve essere un ritorno periodico, fisico, dentro l'azienda”.

Andando nel pratico, di cosa e di quanto tempo ha bisogno un'azienda per strutturarsi in questo modo?

“I costi ci sono, ma ci sono anche delle opportunità. Abbiamo appena rimesso a catalogo un corso di 100 ore che vorrei far passare attraverso i fondi interprofessionali, in questo modo la formazione del dipendente non comporta nessuna aggravio di costi per l’impresa. Le imprese aderiscono a un fondo e autorizzano l’Inps a versare lo 0,30% che servirà per finanziare la formazione continua. Dopodiché, se si dispone di un buon supporto tecnologico, i tempi sono piuttosto veloci, purché ci sia la consapevolezza che si tratta di un valore.

Un grosso problema è che la tecnologia c'è, ma se non è veicolata dentro le reti, se a casa o nelle aziende non si dispone di una connessione veloce, non si può lavorare al meglio. Lo smart working è il futuro, quindi questo è un problema che va risolto.

Nelle Marche quanto è sviluppato lo smart working?

“Nel pubblico ci stanno provando, soprattutto dove c'è un supporto economico, nel settore privato, attraverso i corsi, ho scoperto diverse società operanti nel settore della tecnologia e del software, quindi con delle competenze a monte, che sono dei gioielli della nostra regione”.

In questi giorni si è già registrato un aumento di richieste per quanto riguarda la formazione o semplici informazioni?

“Siamo talmente disorientati che questo non è il pensiero primario. Specie in questo periodo in cui, passata l'emergenza, molte aziende dovranno pensare a far quadrare i conti.Ma in futuro, quando parlerò con gli imprenditori e con i lavoratori di smart working, spero comprendano meglio del potenziale di cui disponiamo”.

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