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Cento anni di Berlinguer: dalla strada intitolata da Ricci all'insofferenza alla superficialità da tramandare

26 Maggio 2022

Cento anni fa nascenza Enrico Berlinguer, lo hanno ricordato in tanti. I social, in questo, hanno favorito la condivisione di messaggi, parole, riflessioni e anche critiche. Chi non ha perso tempo è stato il sindaco di Pesaro, Matteo Ricci, che ha deciso che all’ex segretario del Pci, morto nel 1984, sarà intitolata “la strada interquartieri di Muraglia”.

Da coordinatore dei sindaci Pd manda un messaggio ai colleghi, sulla necessità del ricordo come esempio. Ma chi era Enrico Berlinguer? Per Ricci era “una persona onesta e stava sempre dalla parte dei più deboli, è la videocassetta distribuita da Veltroni con il giornale, vista e rivista almeno 1.000 volte. Enrico Berlinguer sono le mie lacrime, le lacrime di un ventenne pieno di passione politica durante le immagini dell'ultimo comizio di Padova, quando tutti gli dicono di smettere e lui eroicamente riesce a finire il suo discorso, a fare il suo dovere. È il funerale a Roma, quando milioni di persone piangono con il pugno chiuso e quando anche gli avversari politici ne riconoscono il valore inestimabile. Ma è soprattutto un leader che con la sua politica ci ha trasmesso un'idea chiara della società. L' idea che 'noi siamo quelli che sono felici solo se anche i più deboli e fragili stanno meglio’”.

E l’immagine del funerale torna anche nella veregrense Paola Franceschetti: “Al di là delle parole che altri più bravi di me hanno saputo trovare per ricordare Enrico Berlinguer nel centenario della sua nascita, secondo me, per far capire ai giovani quanto era amato dalla gente comune, basterebbe dire loro che il giorno del suo funerale a Roma c'erano due milioni di persone. E piangevano tutti”.

Per Omar Chessa, docente ordinario di Diritto costituzionale all'università di Sassari dove si è celebrato il centenario, è “rigore, serietà, sobrietà, equilibrio, studio approfondito e l'insofferenza per la superficialità. Questo era lo stile Berlinguer.

“Berlinguer credeva fermamente nel legame indissolubile tra politica e cultura. La riconquista di una politica di qualità non poteva che passare attraverso la cultura. Leggeva molto, specialmente i classici della filosofia. Nel corso della sua vita aveva riletto spesso i Dialoghi di Platone e le opere di Machiavelli. La musica, in particolare quella di Wagner, lo incantava. Non tentò di conquistare la scena televisiva, di studiare le nuove tecniche di comunicazione e anzi di fronte alle telecamere e ai flash appariva quasi imbarazzato. Di qui la tesi, purtroppo molto diffusa, secondo la quale Berlinguer proponeva un modo di fare politica ormai superato dalla modernità. Anche all'interno del suo partito una parte dei dirigenti lo considerava legato, sì, a una visione nobile della politica come servizio e abnegazione, ma, al contempo, limitata e tutto sommato conservatrice, non in grado di cogliere, sino in fondo, i caratteri del tempo a venire” spiega Chessa.

 E invece il segretario del Pci aveva colto meglio e più di altri i pericoli della modernità, i rischi, in particolare, a cui andavano incontro i sistemi democratici". "Capiva che la distanza tra 'Paese legale' e 'Paese reale' si stava facendo troppo ampia. E sentiva i pericoli che questo avrebbe comportato".

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