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Aborto e obiezione di coscienza: i confini

7 Marzo 2021

Sebbene la legge di riferimento, la n.194, risalga al 22 maggio 1978, il tema relativo all'interruzione volontaria di gravidanza è sempre al centro di grande attenzione da parte dell'opinione pubblica.

Da ultimo accade che il 12 agosto 2020 il Ministero della Salute con circolare n.27166 aggiorna le "Linee di indirizzo sulla interruzione volontaria di gravidanza con mifepristone e prostaglandine" ampliando i termini di utilizzo della pillola abortiva, la RU486, dal 49° al 63° giorno di amenorrea e per somministrazione anche nei consultori.

Tre i soggetti messi sotto accusa nel dibattito corrente:

  1. l’ospedale Murri di Fermo dove sarebbe impossibile abortire perché tutti i medici del reparto di ginecologia sarebbero obiettori di coscienza;
  2. il consultorio di Porto San Giorgio dove non verrebbero fornite informazioni sull’interruzione volontaria di gravidanza;
  3. la giunta regionale Marche di centrodestra insediatasi a metà ottobre scorso che non consentirebbe l’aborto farmacologico nei consultori.

Scevri da condizionamenti ideologici, etici, religiosi, cerchiamo di fare chiarezza e comprendere i termini delle questioni.

In via preliminare esiste un diritto all’aborto? La donna è libera di abortire? No. L’autodeterminazione della donna non è un valore in sé e viene riconosciuta dalla legge n.194 solo quale scelta responsabile e bilanciata tra la tutela della propria salute e quella della vita del feto.

La procedura prevista ne è la prova: tempi di azione, presenza di peculiari circostanze, intervento di soggetti dedicati, visita e ascolto e ricerca di soluzioni alternative, certificazione, pausa di riflessione e solo infine l’interruzione volontaria della gravidanza presso sedi autorizzate.

Così stando le cose, il personale sanitario ed esercente attività ausiliare può sottrarsi al dovere di rendere la prestazione lavorativa richiesta, senza incorrere nel reato di cui all’art.328 c.p. di rifiuto o di omissione di atti di ufficio?

L’art.9 della legge 194 certamente valorizza la libertà di religione e di pensiero, artt.19 e 21 della Costituzione, consentendo l’obiezione di coscienza, ma entro precisi limiti.

Infatti essa non solo è sempre recessiva rispetto alla necessità di salvare la donna in imminente pericolo di vita, ma anche quando ciò non fosse essa è contenuta alle operazioni strettamente concernenti l’interruzione della gravidanza, mai l’assistenza sempre dovuta tanto prima che dopo l’intervento.

Pertanto se fosse vero che al Consultorio di Porto San Giorgio non forniscono informazioni in tema di interruzione volontaria di gravidanza, si tratterebbe di un’inadempienza che nulla avrebbe a che vedere con l’obiezione di coscienza e che come tale andrebbe trattata e sanzionata.

Legittimo invece che all’ospedale di Fermo medici e paramedici non intendano praticare l’aborto, ma questo non esime Asur Marche dal dover rendere a livello di comprensorio provinciale il servizio di interruzione della gravidanza.

La dimensione territoriale è data dal continuo riferimento della legge n.194, artt.7,9,11, al medico provinciale, che è protagonista nel ricevere le dichiarazioni di intervento come di obiezione di coscienza.

L’obbligo di servizio è poi previsto a chiare lettere dall’art.9 co.4 per il quale “gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso” ad assicurare il servizio di interruzione volontaria di gravidanza, che va controllato e garantito dalla regione “anche attraverso la mobilità del personale”.

Insomma se all’ospedale Murri di Fermo tutti i medici fossero obiettori, qualcheduno potrebbe ben essere trasferito altrove per fare pervenire in sede medici non obiettori, così da garantire il servizio.

Potrebbe essere una soluzione per ovviare a tale disservizio sanitario quella di ricorrere alla somministrazione della pillola abortiva, RU486, presso i consultori della provincia di Fermo?

La risposta è no ed è sancita a chiare lettere nell’art.8 della legge n.194 per la quale l’interruzione volontaria della gravidanza può essere praticata solo “da un medico del servizio ostetrico ginecologico e presso un ospedale generale” nonché “presso gli ospedali pubblici specializzati” e “case di cura autorizzate dalla regione, fornite di requisiti igienico-sanitari e di adeguati servizi ostetrico-ginecologici”.

E allora la circolare agostana del Ministero della Salute?

Nella parte in cui prevede il consultorio come luogo di interruzione volontaria della gravidanza va contro la legge n.194 e come tale non può trovare applicazione.

Fin qui il diritto esistente e in futuro? Mi piace immaginare una società che dibatta di libertà dall’aborto, consapevole che ogni negazione della vita è una sconfitta di civiltà.

Avvocato Andrea Agostini

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